Sulla vita, quasi sicuramente perduta, e sulla pelle
dell’opinionista Jamal Khashoggi la geopolitica sta giocando una partita
complessa nello spigoloso triangolo di alleanze volute e di comodo fra Stati
Uniti, Arabia Saudita e Turchia. Il presunto delitto, diventato caso
internazionale, compiuto in terra turca per mano d’un manipolo di agenti vicini
al principe bin Salman, sorvegliati in ogni modo da colleghi turchi che
dispongono di prove scottanti sull’efferatezza e il cinismo del gesto, mettono
al cospetto di Trump, Salman jr ed Erdoğan il caso esplosivo. Il presidente
americano, dopo aver tuonato contro l’inavveduto rampollo della petromonarchia,
dà pieni poteri di rappresentarlo al Segretario di Stato Pompeo e lui usa un
linguaggio molto più che diplomatico. Usa i toni untuosi della politica internazionale
che trattano ogni argomento, anche il più scabroso coi guanti per poterlo
maneggiare anche quando, come in questo caso, gronda sangue. Così il faccia a
faccia fra Pompeo-bin Salman è risultato stucchevole come i paramenti del
salotto che l’ha ospitato, una finzione, un gioco delle parti. Mbs ha ribadito
di non saper nulla e d’indagare a tuttotondo, come se ripetesse il copione
recitato ancor’oggi da quell’altro satrapo dell’area che risponde al nome di al
-Sisi. Chi fa rapire, torturare, assassinare afferma di non sapere e
d’impegnarsi a chiarire.
Ma su Khashoggi non trascorreranno mesi e anni per comprendere
chi siano mandante e assassini. Parecchio è chiaro, i secondi sono quasi
scoperti. A fare le pulci a ciò che la politica prova a celare, seppure fra
ricatti ricorrenti e contropartite, è la stampa internazionale, anche quella
blasonata che non si prostra al potere. Così il New York Times rompe le uova diplomatiche portate da Mike Pompeo a
Riyadh. La testata newyorkese pubblica una serie d’immagini che mostrano un
uomo, Maher Abdulaziz Mutreb, già ‘funzionario’ a Londra oltre un decennio fa e
probabile guardia del corpo del principe bin Salman. Certamente nei mesi scorsi
sua ombra in ogni viaggio, specie occidentale (Madrid, Parigi, Houston, Boston).
Mutreb appare in ogni foto scattata alla delegazione saudita, a debita distanza
ma con lo sguardo puntato sulla keffia reale. E nella ricerca del pool
giornalistico statunitense non è il solo. C’è almeno un altro fedelissimo
agente della guardia personale di Mbs fra la quindicina di appartenenti
all’Intelligence di Riyadh sbarcati e volati via da Istanbul nella giornata del
2 ottobre su jet privati. In più gli zelanti colleghi turchi, che hanno
registrato voci e grida all’interno del consolato dalle spade incrociate, hanno
diffuso la nota della presenza anche del dottor Muhammad al-Tubaigy, medico
forense accreditato presso il ministero degli Interni saudita.
Professionista noto per le sue pubblicazioni su autopsie mobili. Sarebbe
stato lui a praticare la dissezione del cadavere del giornalista in pochi
minuti, da sette a dieci. Eppure in questo fosco scenario fosco la geopolitica
che definisce ‘carognesco’ il delitto sta già cancellando le responsabilità del
mandante, senza inchiodarne i referenti pescati da inchieste giornalistiche e
dall’azione del Mıt. Gli Stati Uniti non rischieranno di disfarsi del potente
seppure invadente principe che per capacità ciniche e autoritarie risulta una
pedina utile nella regione, come utili sono gli al Sisi, gli Haftar, anche un
Asad disponibile e orientato non solo verso Mosca. Erdoğan chiuderà gli occhi
su un delitto rivolto a una categoria che certamente non ama, soprattutto se
verrà aiutato dai petrodollari a superare le difficoltà finanziarie del Paese che
da mesi si riverberano sui vertici politici. Che questa sia la strada lo
dimostra un’altra sparizione, senza delitto, stavolta del console saudita
al-Otaibi, la cui abitazione è stata perquisita dopo che la sua voce era riconoscibile
nella registrazione-chock con torture (col taglio delle dita) inferte a Jamal
Khashoggi, prima del definitivo assassinio e dello smembramento del suo corpo. Otaibi
già da due giorni è rientrato a Riyadh. Dal 2 ottobre scorso nessuno l’aveva fermato.
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