Ancora sequestri, torture,
violenza anche sessuale, rivolta a oppositori o stranieri considerati
ficcanaso. L’Egitto non smentisce la fama che si è consolidata sotto il regime
di al Sisi, il presidente mandante di omicidi per fare del grande Paese arabo
una piazza del terrore che piace agli autocrati mediorientali e mondiali. Human Right Watch denuncia l’ultimo
caso: un autista di limousine dalla doppia cittadinanza egiziana e statunitense
attivo a New York, è stato fermato dagli uomini della Sicurezza Nazionale nella
zona portuale di Alessandria dove s’era recato per far visita ai familiari. Era
gennaio scorso e il suo travaglio è durato quattro mesi, nei quali è finito immotivatamente
in galera. Lì veniva “interrogato, bastonato, trattato con cavi elettrici in
varie parti del corpo, compresi i genitali”. E’ stato lui stesso tempo dopo a
raccontarlo all’Ong. Le accuse del quarantunenne Khaled Hassan sono esplicite:
“Agenti della NSA (l’Intelligence
egiziana, ndr) mi appendevano per le
braccia, tenendomi in quella posizione anche per giorni, si posizionavano alle
mie spalle e davano ripetute scosse
elettriche alla testa, all’ano, ai testicoli. Poi si piazzavano di fronte per
colpire lingua e inguine”.
Periti e avvocati di HRW hanno preso visione delle lesioni
che l’uomo ha sul corpo, testimoniandolo con immagini. L’autista ha confermato
d’essere stato scarcerato circa un mese dopo la fine dei “trattamenti” quando
le ferite si erano rimarginate. Col rilascio gli è stato comunicato che il suo
nome finiva su una lista nera di soggetti fermati col ‘sospetto di essere
fedeli all’Isis’. Ritorsioni ci sono state anche sulla famiglia: dopo l’arresto
di Hassan la moglie peruviana e i tre figli sono stati giudicati indesiderati e
rimpatriati. Non sarà il trattamento subìto da un semplice lavoratore a
incrinare i rapporti fra Washington e Il Cairo, anche perché il torturato è
sostanzialmente un immigrato con una seconda cittadinanza. Però molti negli
Stati Uniti, la cui amministrazione la scorsa estate ha elargito 195 miliardi
di aiuti militari a Sisi, s’interrogano sul clima interno instaurato nel Paese
alleato dove i diritti umani sono calpestati. Ma la Casa Bianca non va tanto
per il sottile, poiché Sisi nel suo asse con la componente militarista del caos
libico (il generale Haftar), nei buoni rapporti stabiliti con Netanyahu,
continua a essere una pedina preziosa per gli interessi americani. A scapito di
oppositori e di chi sconta la smania seviziatrice della cricca militare
egiziana.
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