Davanti ai deputati turchi, in quel Parlamento sottomesso al suo
potere, Erdoğan si fa portavoce di verità sul macabro complotto ordito ai danni
del giornalista Jamal Khashoggi. Ordito nella sua Istanbul, seppure fra le mura
neutrali del consolato saudita. Mura, però, parlanti che hanno consentito agli agenti
del Mıt di scovare turpi manovre. La ricostruzione del presidente turco è
lineare. Khashoggi entrò una prima volta nel consolato il 28 settembre per
ritirare i documenti per un nuovo matrimonio (con una cittadina turca). Il
passo seguente sarebbe stato la riconsegna di quelle carte e da qui può essere
partito il piano per rapirlo o eliminarlo. Il 1° ottobre l’Intelligence turca
registra l’arrivo al consolato di tre sauditi, identificati come agenti dei
Servizi. Il mattino seguente ne giungono son due voli privati altri quindici
che giunti nell’edificio diplomatico si adoperano per rimuovere l’hard disk del
sistema di sicurezza esterno. Khashoggi giungerà nel pomeriggio e non uscirà
più vivo da quella sede. Una goffa manovra di depistaggio ne mostra una
controfigura (un possibile agente saudita) vestito coi suoi panni, calzando
però scarpe differenti, particolare che viene notato, offrendo conferma di
un’azione di copertura al crimine. Un crimine inizialmente negato dalla casa
regnante di Riyadh che rigetta i sospetti lanciati fra gli altri dall’agenzia Reuters. Erdoğan dichiara di aver telefonato
personalmente al re Salman il 14 ottobre, invitandolo a unire le forze per
un’investigazione comune sulla sparizione e sulle insistenti voci
dell’eliminazione dell’opinionista del Washington
Post.
Gli ha anche chiesto notizie sulla posizione del console e sul
motivo del suo rientro a Riyadh da dimissionario. Dopo negazioni e silenzi, il
19 ottobre l’Arabia saudita ammette la morte di Khashoggi nel consolato,
fornendo la versione su una morte accidentale per soffocamento a seguito di
un’iniziativa canagliesca compiuta dal gruppo di agenti dell’Intelligence
saudita. Il riconoscimento del crimine nell’edificio diplomatico è un passo
importante, ma la Turchia chiede una collaborazione per processare sul suo
territorio i colpevoli, risalire alle cause, sciogliere il mistero sul cadavere
scomparso e i sospetti sullo smembramento del corpo che sembra essere avvenuto
con rapidità e organizzazione impressionanti. La presenza in loco di una
persona esperta nel campo, confuta la tesi di un’accidentalità della morte,
rovesciando completamente il quadro verso una totale premeditazione. Se questo
non è vero, incalza Erdoğan, dov’è il cadavere di Khashoggi? perché 15 agenti
dei servizi s’incontrano a Istanbul il giorno della sua sparizione? cosa gli è
stato ordinato? da parte di chi? E dopo le stoccate un’apertura di credito: “Non ho dubbi sulla sincerità di re Salman,
ma poiché si tratta d’un omicidio politico, esso dovrebbe essere indagato e
posto in un processo indipendente senza alcun pregiudizio”. Ovviamente è
una mano tesa tagliente, con contropartite tutte da scoprire, magari non solo
economiche. Sull’omicidio Khashoggi qualcuno inizia a pensare che il rampollo
Saud potrebbe rischiare la successione. Altri sono invece convinti che il
sangue sarà assorbito da stucchi dorati e petrodollari.
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