S’infittisce e
s’ingarbuglia il mistero sulla sparizione di Jamal Khashoggi, il giornalista
saudita critico verso la politica della petromonarchia, scomparso a Istanbul
all’interno del consolato del suo Paese. E diventano tesi anche i rapporti fra
i due Stati. Il crimine sarebbe stato compiuto all’interno di quell’edificio,
addirittura con un trasporto in altro luogo del cadavere dell’uomo. Ovviamente
illazioni, cui gli addetti alle pubbliche relazioni del consolato rispondono
decisi che nulla di tutto ciò è accaduto, che lo stabile è aperto e disponibile
a qualsiasi sopralluogo. Uno è stato fatto compiere a un gruppo di giornalisti,
guidati da funzionari della struttura diplomatica. Il partito di maggioranza
turco Akp è intervenuto con un comunicato, affermando come l’enigma sarà
svelato, poiché l’amministrazione ritiene la vicenda sensibile di un’altissima
attenzione. Mentre l’agenzia Anadolu
ha ribadito che se ne sta occupando il presidente Erdoğan in persona. Su alcuni
social network, soprattutto Twitter, sono
apparsi cinguettii firmati da chi, al contrario, sostiene che l’insieme delle
cose è assurdo, e Khashoggi è vivo.
Uno l’ha lanciato anche Hatice
Cenzig, la fidanzata turca dello scomparso, possiamo pensare che si tratta di
speranze. Finora tutti i punti di vista sono basati su impressioni e
congetture. Certo, se la scelta di eliminare l’opinionista del Washington Post trasferitosi da tempo
negli Stati Uniti, all’interno di una struttura sotto giurisdizione saudita,
fosse una mosse dei mukhabarat di Ryiad, l’idea risulterebbe tutt’altro che
geniale. All’inverso l’agguato potrebbe essere opera di nemici del
criticatissimo Mohammad bin Salman per far ricadere i sospetti sul suo staff. O
ancora: nessuno ha ucciso o rapito l’uomo, è lui stesso a essersi dileguato,
aiutato magari da complici, per evitare guai alla sua persona. Eppure a queste
scontate considerazioni se ne potrebbero aggiungere molte altre. Di fatto gli
inquirenti turchi si trovano di fronte a un caso complesso, un possibile
intrigo internazionale alla stregua di quello dell’assassinio dell’ambasciatore
russo Karlov nel dicembre 2016, terminato con l’eliminazione dell’attentatore,
un poliziotto turco delle squadre antisommossa, che si portò nella tomba
informazioni su possibili mandanti.
Nel sovrapporsi delle
notizie appare anche una che parla di funerali fra un paio di giorni. Funerali
di Khashoggi, ovvio, senza che ci sia il cadavere, come nei migliori
polizieschi classici. Lì gli Holmes o i Poirot non si lasciano sfuggire tracce
con cui risalgono alla catena e ai moventi dei delitti, con la differenza che i
misfatti comuni, anche i più efferati, mancano di quella ragnatela omertosa che
i crimini di Stato, di qualunque Stato, sono capaci. Basti pensare alle
eliminazioni al polonio di Livtinenko, a quella che riguarda il nostro Giulio
Regeni o, per restare nella Turchia erdoğaniana che ora si presta alla
soluzione dell’intrigo, all’omicidio dell’avvocato dei diritti Tahir Elçi assassinato
in pieno giorno, durante una conferenza stampa per le vie di Dıarbakır. Che quella
di Khashoggi possa essere una sparizione mirata per azzittire una voce del
dissenso lo pensano alcuni attivisti anti Saud che hanno dimostrato, in poche
decine per le strade di Istanbul. Secondo la loro denuncia l’ipotesi
dell’omicidio è reale, e il delitto senza cadavere può assumere i contorni di
quei delitti di mafia dove corpo della vittima è smembrato, gasato, liquefatto.
Nessun commento:
Posta un commento