E’ nello sguardo perso
prima ancora che nella mano tesa al carnefice il dramma di certa gioventù
saudita. La foto diffusa da un’agenzia di regime che mostra il figlio del
giornalista trucidato all’interno di una sede diplomatica del regno a Istanbul
doveva servire ai Saud, e a Mohammad bin Salman, per risalire un po’ la china
d’una credibilità perduta per sempre. La scena è comunque pelosa, non diversa
da quella che abbiamo dovuto sopportare nei funerali di Stato ai nostri delitti
di mafia. Quando le Autorità Istituzionali rivolgevano alle vittime le proprie
condoglianze. Egualmente il principe ha convocato a corte i figli
dell’opinionista odiato e liquidato, appunto per manifestare il suo cordoglio.
Orfani e cittadini nel regno i due giovani non hanno potuto esimersi dal
trovarsi al cospetto del manipolatore e probabile mandante dell’assassinio. Lui
porgeva loro la mano, quelli la sfioravano increduli e atterriti. Se le
immagini parlano più di cento parole, lo scatto, l’inquadratura che la regìa
politica, oltre che mediatico-propagandista dei Saud ha voluto diffondere
rivela il clima d’ipocrisia e terrore presente nella terra dei petrodollari,
che è anche la Terrasanta dell’Islam. Quella monarchia padrona della nazione
dove sorgono alcuni fondamentali luoghi sacri della fede musulmana, che fa
della religione un marchio funzionale al suo ruolo di Stato guida nel mondo
arabo, pratica il più bieco cinismo nel relazionarsi ai sudditi e al mondo. Non
è l’unica leadership a farlo, è vero. Ma gli ultimi eventi - su cui pesa tuttora
l’incognita delle future reazioni internazionali, pur condizionata dagli
interessi incrociati che alleati, tutori, avversari di questo Paese possono
barattare per fare uscire dalla palude in cui s’è infilato il giovane factotum dei
Saud - ne svelano una totale oscenità. Resta l’angoscia sul suo potere di simulazione
e di condizionamento: quel giovane che dovrebbe e forse vorrebbe gridare lo
sdegno e l’odio verso un carnefice gli porge, pur mollemente, la mano. In un
gesto di normalità, dove oltre a una subordinazione al potente criminale, appare
la mancanza di prospettive di giustizia e di vita.
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