La foto segna in sovraimpressione le ore 13, 14 minuti, 36
secondi e il giorno: 2 ottobre ultimo scorso. L’uomo con la giacca scura che
sta infilando un ingresso del consolato saudita a Istanbul è il giornalista Jamal
Khashoggi. L’altro uomo in giacca chiara è probabilmente un addetto alla
sicurezza e osserva la scena. A questo fermo-immagine esaminato dagli
inquirenti turchi non fa seguito il video del circuito televisivo interno, che
sembra sparito anch’esso. Occultato o cancellato, come quello che presso la
fermata metro El Behoos del Cairo riprendeva gli ultimi attimi di libertà di
Giulio Regeni. Nell’attuale mistero della sparizione del giornalista saudita, ricostruito
dal quotidiano britannico The Guardian,
s’aggiunge lo strano invito rivolto dal consolato alla polizia turca di
“prendersi un giorno di riposo”. Incredibilmente sembra che gli agenti di
Istanbul l’abbiano preso. Dunque a vigilare sull’edificio diplomatico c’erano
soltanto apparati dell’Intelligence di Riyadh. Ora gli investigatori che tirano
le fila dell’intrigo immaginano ci sia stato un forzato trattenimento di
Khashoggi nell’edificio, per poi uscirne e dirigersi verso l’aeroporto Atatürk.
Lì, nella sera del 2 ottobre, è stato registrato l’arrivo di sei auto.
In una di esse, oppure in un Van scuro parcheggiato di fronte
all’ingresso del consolato (e visibile anche nell’unico fotogramma in possesso
degli investigatori) c’era il giornalista oppure il suo cadavere occultato. Dall’aeroporto
internazionale sono partiti due voli privati sauditi, uno verso il Cairo (che
dopo lo scalo ha proseguito per Riyadh), l’altro diretto, senza soste, a Dubai.
Ma mentre in Occidente i dicasteri degli Esteri statunitense, britannico, francese si pronunciano perché
sulla vicenda ci sia totale trasparenza, il governo di Ankara mostra alcune
viscosità. Ai fermi pronunciamenti del presidente Erdoğan sulla soluzione del
caso, sono recentemente seguiti comunicazioni altrettanto ufficiali del suo
portavoce addirittura rassicuranti verso i Saud, che “non possono essere
biasimati”. Un cerchiobottismo che gli analisti economici mettono in relazioni
ai molteplici interessi e scambi fra i due Paesi, in una fase in cui crollo
della moneta turca e altre vicende finanziarie, condurrebbero i vertici di
Ankara a non crearsi inimicizie con la maggiore delle petromorchie, seppure
essa è una competitrice regionale. Resta, però, la questione “del riposo dei
poliziotti turchi”, se la notizia fosse confermata mostrerebbe una collusione
coi piani sporchi dell’Intelligence di Riyadh. Anche quei poliziotti e i loro
superiori favorevoli alla “distrazione” rientrano nello Stato profondo gülenista
che trama contro il Paese?
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