Sibel, ti
senti una perseguitata da Erdoğan?
Sì, lo sono. Mi sento perseguitata non solo come
giornalista, ma come donna kurda che non gradisce Erdoğan. Lui e il suo partito
(Akp, ndr) sostengono l’idea di una nazione, una lingua, una religione.
Adottano una politica neoliberale. Chiunque sia in disaccordo con questa
visione diventa un bersaglio. Gli avversari (kurdi, socialisti, aleviti, le
donne, la comunità LGBTI, e poi accademici, insegnanti, giornalisti,
ecologisti) non possono usare la libertà di parola. Siamo arrestati, lasciati
senza lavoro, mentre le minacce pendono su di noi come una spada di Damocle.
Persino la gente comune si sente in pericolo. Perché Erdoğan e l’Akp
costruiscono l’impero della paura. Ora, stanno strumentalizzando il tentativo
di golpe del 15 luglio e tramite lo stato d’emergenza e decreti statutari
terrorizzano il Paese. Così, noi tutti ci sentiamo perseguitati.
Quali sono
le imputazioni a carico tuo e dei tuoi colleghi?
Io e 43 amici
giornalisti siamo finiti il galera il 20 dicembre 2011. Allora 36 di noi vennero
arrestati con l’accusa di essere membri dell’Unione delle Comunità Kurde e del
Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Siamo stati rilasciati dopo due anni e
mezzo. Il caso è tuttora aperto presso la Corte, che ci accusa di sostenere il
Pkk attraverso il lavoro d’informazione. In più la Corte considera illegale il
lavoro di raccolta di notizie compiuto tramite i nostri viaggi all’estero.
Faccio un esempio, cosicché i lettori in Italia possano comprende lo scandalo
di simili accuse. Una mia amica scrisse una citazione di Adorno sull’agenda.
Per questa frase è stata accusata di essere una sostenitrice del Pkk. Secondo
la Corte, Adorno è un membro del Pkk. (Sibel ride) Ancora: un mio viaggio in
Germania nell’aprile 2003 viene scambiato per un viaggio in Iraq sebbene fosse
evidente sul mio passaporto la destinazione tedesca. L’atto d’accusa è pieno di
lacune e chiede una pena che va dai 7 ai 25 anni di reclusione. Sostengono che
nel 2001 sia andata in montagna col Pkk, ma non hanno prove. Io invece mostro
documenti dell’Università di Istanbul e di altri organismi, compresi quelli del
distretto di polizia che mi rilasciava passaporti e carte d’identità, che
testimoniano la mia presenza in Turchia, non sulle montagne irachene. La prossima udienza è fissata per il 18
novembre. Poiché il governo ha destituito migliaia di giudici a causa del
tentativo di golpe, nessuno sa cosa può accadere. Sapete cosa c’è di comico?
Tutti i pubblici ministeri e giudici che ci hanno arrestato e ci stavano
giudicando ora sono in prigione per quel tentativo antistatale…
Che ne è
del tuo quotidiano, Özgür Gündem, o
di Cumhuriyet ?
Cumhuriyet è ancora in attività. Invece il governo ha
chiuso Özgür Gündem perché è una
testata kurda. Attualmente i giornalisti kurdi dissidenti pubblicano un nuovo
giornale chiamato Özgürlükçü Demokrasi.
Chi sta raccontando
al mondo ciò che accade in Turchia dall’interno del Paese?
I giornalisti che
resistono all’Akp. Malgrado tutte le pressioni abbiamo media alternativi come
quello citato poc’anzi, l’agenzia Diha
News, l’agenzia Eta, Evrensel, IMc Tv e altre. Il regime può chiuderle ma
noi pubblichiamo ancora, proseguiamo con diciture diverse e usiamo internet
efficacemente.
I media
ufficiali (canali televisivi, quotidiani come Hürriyet) riescono a raccontare la realtà liberamente?
Tutti i media mainstream
sono interdetti agli oppositori. Lì non si trova neppure una parola sulla
violazione dei diritti umani da parte di Erdoğan e del partito di governo o si
leggono distorsioni di notizie sugli avversari. Solo i media alternativi
offrono informazioni e pubblicano articoli su ciò che realmente accade. Ma si
vede il risultato: giungono arresti, chiusure, blocco della diffusione.
Solo
Amnesty International e Human Rights Watch denunciano la repressione alla
libera stampa turca…
Lasciami aggiungere
Reporters Without Borders e la Federazione Internazionale dei Giornalisti.
Gli oppositori
moderati al regime, come il Chp, sono prostrati a Erdoğan?
Chp è prostrato davanti
all’Akp perché questo partito è stato volutamente ingannato dalla disperazione
che era frutto della tacita paura. Il Chp ha visto che l’Akp avrebbe usato
l’apparato statale contro l’opposizione, esacerbando i poteri in stato d’emergenza
dopo il tentato golpe. E d’altro canto dopo lo shock il partito di governo
aveva bisogno di nuove alleanze per risollevare il senso nazionale. Così l’Apk ha
avvicinato i kemalisti nella sfera politica, burocratica e militare per
un’alleanza adeguata e mandataria, e ha creato l’illusione di ‘un’unità
nazionale’. I repubblicani si sono inchinati verso quest’illusione e perché
comunque erano preoccupati di finire fra i bersagli del terrore scatenato dal
governo. Un’altra ragione o per meglio dire un loro piano: il partito di maggioranza
avrebbe sgombrato il campo da avversari e, grazie all’unità nazionale, non
avrebbe toccato il Chp. Dopo la liquidazione delle opposizioni, i repubblicani
pensano di essere l’unica alternativa all’Akp.
Un anno e
mezzo fa avevi paragonato il comportamento del presidente turco a quello d’un
bambino capriccioso. E ora?
Continuo a pensarlo: ciò
che accade è un naturale proseguimento di quei comportamenti. La tradizionale
struttura conservatrice della Turchia anela costantemente l’Impero Ottomano, ma
la realtà del mondo e del Medioriente non offre il disco verde a questo piano. Stati
Uniti, Russia, Europa e pure forze regionali come Iran e Arabia Saudita non
accettano una simile politica. Eppure l’utopia di Erdoğan, passo dopo passo, chiede
di regredire. Un anno fa e mezzo fa Erdoğan ruggiva e reclamava d’essere il
leader del Medioriente? Osserviamo l’orizzonte attuale: lui vuole solo mantenere
il vecchio peso politico nella regione e segue una strada che si è ristretta,
focalizzata sul fermare i kurdi.
Quanto può
risultare vincente il nazionalismo che Erdoğan mutua dal kemalismo,
socialdemocratico o fascista?
Il nazionalismo è uno strumento pratico per
Stati come la Turchia. Lo è nelle crisi economiche, politiche,
giudiziarie, militari. Però, com’è risaputo, somiglia a un cattivo medicamento
che peggiora le cose. In questa fase tre tipi di nazionalismo (kemalista,
conservatore, fascista) s’incontrano tatticamente contro le classiche
opposizioni (le differenze sociali in particolare i kurdi e le forze straniere
contro lo Stato turco). Ma le basi sociali di quest’alleanza - i gruppi di
capitale e le Ong - sono differenti e fra loro esistono conflitti d’interesse.
Questi non consentono all’alleanza di risultare strategica. Di conseguenza chi
sarà in grado di effettuare manovre intelligenti potrà ottenere guadagni
periodici (in tal gioco l’Akp è in vantaggio). Tuttavia tale situazione non
evidenzia in maniera permanente un insediamento forte né per lo Stato né per la
società. Al contrario nascondere questioni strutturali (democrazia, leggi, pace
sociale, ecc.) che devono obbligatoriamente esser risolte, le riduce in cancrena.
E a medio termine la situazione potrebbe dover affrontare un problema
esistenziale.
La
repressione mette insieme kurdi, gülenisti, marxisti, considerati tutti
terroristi…
Normalmente le pressioni
autoritarie avvicinano gli oppositori. Seppure la posizione dei gülenisti
dev’essere esaminata differentemente. La loro tradizionale ideologia è basata sulla
sintesi turco-islamica e si riflette contro kurdi e socialisti con ostile
aggressività. Kurdi e socialisti lo sanno bene. Ci potrebbe essere interazione
sociale, azioni simboliche in quella base sociale infastidita dall’autoritarismo.
Ma, dopo il 15 luglio, la base sociale gülenista è messa fuorigioco. Le
relazioni fra marxisti o gruppi della sinistra e i kurdi pongono due diverse riflessioni.
La prima: dal 1980 c’era sempre stata una collaborazione fra queste componenti e,
per quanto si può discutere sull’efficacia del rapporto, la collaborazione
continuerà. La seconda riflessione riguarda un nesso fra kurdi e alcuni
socialisti che tollerano influenze kemaliste. Questa tipologia socialista è
adirata col Chp e con quella parte repubblicana compromessa con l’Akp. Tuttavia
proprio per le priorità sociali e politiche, non penso che questi socialisti creeranno
un’alleanza coi kurdi. Invece pressioni autoritarie possono sì obbligare gruppi
socialisti a collaborare coi kurdi, se ciò non dovesse accadere molti di loro
non potrebbero proteggersi.
Riaprendo
la lotta armata il Pkk azzera la strategia dei colloqui attuata da Öcalan?
Una dura guerra in
Turchia esiste già. E non è iniziata perché il Pkk ha chiuso gli spazi alla
strategia di Öcalan. La guerra è ricominciata perché lo Stato turco, verso cui
è indirizzato il piano di Öcalan, non fa nulla per attuarlo. Se il Pkk vedesse
qualcosa di positivo nelle attitudini del governo di Ankara, non penso che
continuerebbe a usare le armi. Questi militanti l’hanno dichiarato molte volte.
Taluni analisti
smentiscono l’idea d’una diversa prospettiva fra il Confederalismo Democratico
di Öcalan e il separatismo inseguito da altri membri del Pkk. E’ così?
Il Confederalismo democratico
è un sistema per ogni tipologia di alternativa: autonomia, federazione,
separazione… Perciò se nel Pkk esistono differenti approcci, non riguardano il
Confederalismo Democratico. Il Pkk crede che tale modello sia la migliore
alternativa per tutte le componenti del Kurdistan e per altri popoli senza una
separazione dalla realtà mediorientale. Se la questione kurda non può essere
risolta unitariamente allora, fra le diverse ipotesi, c’è anche la separazione.
Il Pkk l’ha ripetuto parecchie volte, però non c’è nessuna recente dichiarazione
che pone quest’opzione. Inoltre non abbiamo notizie di una profonda discussione
sul tema all’interno del Pkk. Se in quel partito esiste un dibattito credo riguardi
i momenti delle differenti alternative. Macro analisi a parte, abbiamo bisogno
di riflettere su questa realtà: se da qualche parte c’è un conflitto duro,
continuo e dagli alti costi, la gente coinvolta perde la fede nei metodi pacifici.
Questo è un fatto concreto.
E il
percorso del Partito democratico del popolo (Hdp) è alternativo alle
prospettive del Pkk ? Perché Demirtaş non respinge apertamente l’accusa
evitando d’essere considerato un fiancheggiatore?
L’Hdp non valuta il Pkk come fa lo Stato turco,
può solo rigettarne metodi e strumenti di lotta. Il Partito democratico del
popolo reclama da tempo la cessazione della lotta armata e condanna gli
attentati del Pkk, però non descrive il Pkk come un’organizzazione terrorista. Se
lo facesse si sparerebbe sui piedi poiché la base sociale dell’Hdp crede nel
Pkk. E Demirtaş non vuole perdere la base del partito. La distinzione fra i due
soggetti è procedurale. La principale differenza riguarda, appunto, la scelta
della lotta armata. Oltre quest’aspetto non c’è contrasto ideologico nei
reciproci programmi, sebbene si riscontri qualche differenza sulla soluzione di
questioni sociali.
I
combattenti del Rojava sono passati dall’assedio dell’Isis a Kobanê alle
operazioni ostili dell’esercito turco a Manbij. Quale futuro può avere il
progetto del Rojava in un ridisegno della Siria?
La lotta in Rojava ha posto l’esistenza e la
valutazione dei kurdi al cospetto del mondo. Ha legittimato e reso visibili le
richieste sociali della comunità che finora erano rimaste ignorate. Si tratta
di un punto di non ritorno. Tuttavia il bilancio del Medio Oriente che lavora
contro i kurdi e la lotta per il potere in quell’area non allontanano i rischi
per questo popolo. Diversamente da
cent’anni fa, i kurdi sono organizzati in un’ampia fascia territoriale e hanno
la consapevolezza di poter raggiungere degli obiettivi con le loro forze. Essi
non sono più una comunità da sprecare facilmente nei rapporti di forza internazionali,
alla luce della situazione mediorientale si rivelano come una società che non
dev’essere ignorata. Malgrado le obiezioni militari e politiche mosse da Stati
arabi, Turchia, Iran i kurdi del Rojava avranno uno statuto, ovviamente se essi
stessi non avanzeranno critiche. Questo
statuto è legato al destino futuro della Siria.
________
Sibel Güler è una giornalista kurda che, come
altri colleghi, ha subìto limitazioni della professione e arresti da parte del
governo Erdogan dal 2011. E’ stata redattrice e, per un periodo, direttrice della
testata Özgür Gündem, chiusa
nell’agosto scorso dall’attuale premier Yıldırım. L’accusa rivolta al gruppo di
cronisti di cui fa parte Güler (media e agenzie sono: Azadiya Welat, Özgür Gündem, Diha, Anf, Fırat Dağitim, Demokratik
Modernite) è quella d’essere membri del Comitato Stampa dell’Unione delle
Comunità kurde (Kck). Quest’organismo viene accusato dalla Stato turco di
sostenere il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, posto dal 2001 nella lista
delle organizzazioni terroriste stilata da Stati Uniti e Unione Europea. Per
similitudine i giornalisti in questione vengono tacciati di terrorismo. Dopo un
lungo periodo di detenzione Güler è stata rilasciata, è in attesa del processo,
ma non può più svolgere il suo lavoro. Dal 15 luglio scorso le è stato ritirato
il passaporto con la motivazione di “essere pericolosa per l’indivisibile unità
della Turchia”.