Vaso di coccio fra
quelli di ferro della coalizione che regge il Libano, il premier Hariri
rassegna le dimissioni, ma a farlo cadere non sembra essere la piazza che pure
ha mobilitato per due settimane la metà dell’intera popolazione. Sono calcolate in oltre due
milioni le presenze nelle manifestazioni che si sono succedute senza tregua,
più gli scioperi, i sit-in, le
molteplici proteste fino all’immenso accampamento nella piazza dei Martiri di
Beirut. Ma lì ieri si sono scatenate le squadre di militanti dei Hezbollah, quelli
duri e puri che rispondono al desiderio di controllo del Partito sulla vita
politica nazionale. Assieme a sostenitori di Amal, che già in altre città
avevano strattonato e malmenato diversi manifestanti, le due sponde della
militanza fedelissima se la son presa coi sostenitori della linea della
fermezza contro un Esecutivo frutto del sistema della spartizione, che il
popolo per via accusa di clientele e lottizzazione. Chi non ha vicinanze politiche
contesta tale sistema, lo fanno anche coloro che, pur rientrando nel quadro di
appartenenze etnico-confessionali, ne denunciano la corruzione e, nella
migliore delle ipotesi, la consunzione d’un processo che ha mummificato il
Paese per un quindicennio. Allora per non rovesciare tutto, ecco che l’uscita
dalla scena politica di Hariri, che alcuni catalogano come definitiva, può
rappresentare una cancellazione che nella sostanza non cambia nulla, anche
perché Saad Hariri, figlio parvenu che ha perso negli anni l’illusione di poter
brillare di luce propria, secondo tanti osservatori rappresenta la maschera di
un’unità nazionale dove a farla da padrone è il Partito di Dio.
Altre componenti, rappresentate da uomini politici che
si perpetuano (Aoun, Berri, Jumblatt) sostengono il disegno per conservare la
propria fazione, oltre a se stessi. In un percorso di protesta massiccio e
finora pacifico, gli unici momenti di tensione sono stati i tentativi castigatori
sopra citati, chiusisi comunque senza
gravi conseguenze anche per l’interposizione attuata dall’esercito fra i due
schieramenti. Ora potrà accadere che la gente si accontenti dell’uscita di
scena del politico più esposto e chiacchierato, accetti di vederlo sostituito
con un altro elemento, magari un tecnico, mentre i sostenitori del sistema
decotto tirino a campare. Oppure che la nausea attorno a clientele, spartizione
e corruzione continui a tracimare volendo travolgere tutto. Per poterlo fare
avrà sempre più bisogno delle comunità che per anni si sono assiepate sotto il
sistema di protezione ora contestato, dunque le fasce cittadine e rurali,
sciite, sunnite, maronite che spaccandosi al proprio interno chiederanno un
azzeramento dell’intera elité politica. Se la protesta intransigente dovesse
durare la stabilità economica nazionale, cui ha fatto in più di un’occasione
appello il presidente Aoun, potrebbe vacillare e con essa la tenuta politica,
cui faceva richiamo Nasrallah, il segretario generale del Partito di Dio. E fra
i vasi di ferro per un contrasto che non è ancora conflitto interno, quest’ultimo
farebbe pesare l’organizzazione militare del gruppo rodata, peraltro, dagli
anni di guerra civile siriana e sostenuta dalla prossimità dei ‘consiglieri’
iraniani. Più della felicità d’un successo sotto i cedri cresce la tensione.
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