Si
riaffacciano proteste popolari in un altro Stato senza guida. A Baghdad e
Bassora migliaia di dimostranti, scesi in strada nelle giornate di martedì e
mercoledì, sono stati dispersi dalle forze dell’ordine che hanno usato inizialmente
cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, quindi pallottole di gomma. Seppure non ci
siano stati scontri particolarmente violenti in quei giorni si sono registrate nove
vittime e centinaia di feriti, specie dopo un intervento poliziesco a Nassirya
dove sono morte sei persone, fra cui un agente. Però la ribellione prosegue e
stamane le agenzie diffondono la notizia che le vittime sono salite a diciotto. Già ieri sera il
governo aveva imposto il coprifuoco nella capitale, probabilmente la misura sarà
estesa ad altre città. I motivi del malcontento sono quelli di sempre: un ceto
politico corrotto che s’accaparra di beni pubblici e, nonostante i proventi
derivati dal commercio petrolifero, indirizza ai servizi pubblici quote sempre
più scarse. Il paradosso degli ultimi mesi sono i continui black-out elettrici
e la scarsità d’acqua. Quindi una disoccupazione radicata, che dal minimo del
25% tende a salire, specie per i giovani. Quest’ultimi mostrano nausea per politici
inadeguati, come l’attuale capo dell’esecutivo Adil Abdul Mahdi, una sorta di
diplomatico senza carisma che cerca di mediare fra le componenti politiche
interne, con in prima fila i partiti religiosi come l’Islamico Da’wa (da cui
provivano premier come al-Jafari e al-Maliki che hanno guidato l’esecutivo fino
al 2014) e i mai celati interessi di attori locali (Iran, Turchia) nonché le
potenze mondiali.
In realtà l’orizzonte
di
questa nazione non-nazione, dopo l’invasione statunitense e la guerra del 2003,
è rimasto oscuro, con governi ingessati e inadeguati, col terrorismo
strisciante degli attentati a ripetizione di quelle forze aderenti al qaedismo
che miravano a destabilizzare il Paese, sino alla comparsa del tentativo di al
Baghdadi di dar vita allo Stato Islamico. Anche in quel quadriennio (2014-2018)
è esistito un governo, guidato da al-Abadi e sostenuto sempre dagli sciiti di
Da’wa, ma solo grazie alla riconquista armata dei territori controllati
dall’Isis (soprattutto nel nord-ovest fra Falluja e Mosul) dal 2017 la
situazione interna assume risvolti di ricomposizione. Restano, in ogni caso, la
spaccatura fra la maggioranza sciita (60% della popolazione) e le minoranze
sunnita e kurda, più le ingerenze esterne per fare dell’Iraq uno Paese
cuscinetto o un alleato succube. Fra le due minoranze quella kurda, grazie
all’autonomia dell’area nord-orientale dov’è collocata, si ritrova a ricavare benefici
economici dall’estrazione petrolifera nella zona di Kirkuk. Ma al di là
dell’appartenenza etnica e di fede tanti, troppi problemi restano inevasi da un
ceto politico di scarsa formazione e capacità, eredità della dittatura di
Saddam. Se poi s’aggiunge la meschinità dei faccendieri insinuati nella
politica, fenomeno peraltro assolutamente globale, ecco che i cittadini
iracheni, che già annoverano in famiglia decenni di lutti, continuano a vivere
in balìa degli eventi.
Intanto il
leader sciita Muqtada al-Sadr del partito Saeroon, che fa parte del blocco di
governo ma sta cavalcando anche le proteste, iniziate spontaneamente, reclama
lo sciopero generale. E’ un leader religioso, con un pedigree importante.
Appartiene a una famiglia storica, di origine libanese, suo cugino era quel
Musa al-Sadr fondatore del movimento Amal. Mentre suo padre Mohammad al Sadr,
fu un coriaceo oppositore del regime baathista. Muqtada è attivo da tempo sullo
scenario politico, nei momenti bui del vuoto istituzionale (2004-2006)
successivo all’invasione statunitense lanciava i sermoni contro l’occupazione
del Paese e per questo venne privato della voce cartacea del suo gruppo, il
giornale al-Hawza. Annovera posizioni che rompono lo schema di scontro
sciismo-sunnismo, infatti gli si attribuiscono attacchi ordinati al suo gruppo
armato contro ayatollah sciiti come al-Hakim e aiuti ai combattenti sunniti
assediati a Falluja. Insomma è un personaggio scomodo, a suo tempo bollato
dagli statunitensi come terrorista e sempre guardato con sospetto anche nella
patria sciita per le aperture diplomatiche ai governi turco e saudita. Da
leader che rompe gli schemi nel 2017, quando Asad riceveva gli aiuti militari e
politici di Putin che ne hanno consentito la salvezza, al-Sadr gli chiese di dimettersi per salvare la gente
siriana massacrata e dispersa dalla guerra. Chi manifesta in queste ore dovrà
fare i conti con quest’eminenza grigia che da quasi un ventennio osserva gli
eventi del paradiso di Baghdad trasformato in inferno.
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