Non hanno nulla da perdere. Lo gridano, lo rivendicano i
manifestanti di Baghdad, Nassirya, Bassora e adesso che i morti salgono
ufficiosamente a più di cento, mentre il ministero dell’Interno non conferma né
smentisce e soprattutto non offre cifre ufficiali, le piazze non recedono dalla
protesta che prosegue ormai da sei giorni. Il premier Adel Abdul Mahdi è in
difficoltà, dice di non poter far miracoli, ma guida da un anno e mezzo un
governo che non ha cambiato l’andamento delle precedenti gestioni, tutte accusate
di emarginazione della componente sunnita, di ruberie e corruzione. Vista la determinazione dei contestatori il
partito di Muqtada al-Sadr, Saeroon, che sosteneva pur con riserva il governo, ora
si smarca e oltre allo sciopero generale chiede apertamente le dimissioni d’un
premier che dal contenimento della protesta è passato alla repressione feroce,
visto che diverse vittime sono state colpite da cecchini. Oltre a denunciare
una cronica carenza d’investimenti e lavoro, bassi salari nei casi di
manodopera primaria, le voci intervistate in questi giorni da Al Jazeera denunciano diffuse condizioni
di sopravvivenza a 5-6 dollari al giorno e dicono: “Vogliamo che l’attuale leadership irachena sia posta sotto processo per
l’abbandono e la mancanza di servizi verso gli strati più umili” che,
nonostante le risorse petrolifere di cui la nazione dispone, risultano in caduta
libera.
Anche i settori privati restano sottosviluppati, così il Paese
continua a girare solo attorno all’economia del petrolio. Si tratta della
classica condizione da Stato redditiere che non riesce, né viene aiutato dai
sedicenti istituti di sviluppo delle risorse come la Banca Mondiale, a costruire
quella differenziazione finanziaria interna e rilanciarsi. Il personale tecnico
intermedio avvicinato in queste ore difficili da giornalisti di agenzie
d’informazione presenti in loco conferma il distacco fra le intenzioni parolaie
dell’attuale Esecutivo e i dati reali. In più certi analisti fanno notare come
si siano compiuti solo mutamenti di facciata, introducendo tecnocrati che di
fatto non pianificano così tutto resta inattivo, come durante il triennio dello
scontro coi jihadisti dell’Isis oppure durante la fase precedente al ritiro
statunitense (2007-2011), epoca in cui le fazioni sciita e sunnita si
scontravano direttamente e indirettamente. Situazione protrattasi anche nel
biennio seguente. Ma sull’onda della protesta, che non si richiama ad alcun
partito, si muove anche una figura carismatica di alto profilo teologico. E’ l’ottantanovenne
ayatollah Ali al-Sistani, un marja al
taqlīd della religione sciita, uno dei più autorevoli chierici in vita, che
nella giornata di preghiera di venerdì scorso ha invitato i politici a
comprendere le ragioni dei manifestanti anziché reprimerli. Una presa di
posizione che spiazza Mahdi e può rafforzare la pretesa sciita (e iraniana)
sulle sorti irachene.
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