venerdì 4 ottobre 2019

Egitto e nuove piazze in fermento


Ormai formano un puzzle, tanti volti, sorridenti nella pagina che li riunisce sui social media, ma che possono apparire sfigurati dai trattamenti subìti nel corso degli interrogatori dei mukhabarat. Sono gli avvocati egiziani, elementi coraggiosi, che rischiano in proprio nel Paese sottoposto al dominio di Sisi e dei suoi fedelissimi. La persecuzione di queste persone segue quella di oppositori e attivisti che, unitamente ai giornalisti, sono finiti nelle grinfie della repressione di regime già dai primi mesi del 2014. Il crescendo è stato, ed è tuttora, corposo in una nazione che mette in prigione decine di migliaia di cittadini, ne fa sparire centinaia per intimidirne milioni. Un governo che introduce, come ha fatto, la galera a tempo con arresti mensili che durano un paio di settimane, con tanto di trattamento di “favore”, consistente in una minore pressione, se riesci a pagare gli agenti corrotti, di sfavore se non hai denaro, o peggio se vieni bollato come terrorista. Gli avvocati dei diritti e quelli d’imputati, famosi e non, possono finire nella stessa morsa infernale che incute paura all’incriminato e mette nelle condizioni di ansia e precarietà gli stessi professionisti della legge impossibilitati a difendere e difendersi. 
Spezzare la già flebile rete di solidarietà, che reclama diritti e democrazia nell’attuale Egitto sprofondato in una tenebre peggiore di quella conosciuta ai tempi di Mubarak, rappresenta il subdolo percorso autoritario attuato dal governo col benestare della lobby militare. Quest’azione repressiva s’aggiunge a quella in atto da tempo verso la cittadinanza critica e rincara la diffusione di terrore e omertà. Eppure c’è chi sostiene come l’infatuazione fra gli egiziani conservatori e il presidente della salvezza dall’islamismo della Fratellanza stia scemando. Anzi, addirittura i colleghi di Sisi e della sua cerchia di potere, penserebbero a soluzioni alternative vista la refrattarietà di quest’ultimi a mutare passo e adottare comportamenti meno palesi, anche in fatto di accaparramenti e superpoteri. I venerdì di protesta, lanciati dal 20 settembre scorso, potranno anche non essere consecutivi, ma dopo circa un decennio diversi Paesi arabi dal Maghreb algerino, fino al Mashreq egiziano e iracheno rialzano la testa davanti a situazioni ingessate o peggiorate dopo repressioni interne e conflitti locali. La miseria di ritorno e la corruzione dei governanti, insieme alla repressione sono spettri che la popolazione non sopporta.

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