Forse si
fermerà,
forse, l’esercito invasore che Erdoğan considera un difensore della nazione
turca, tanto da accettarne le manine fascistoidi a mo’ di ‘Lupo grigio’ esibite
per le telecamere dai soldati della mezzaluna. Nei contatti segreti che
emissari turchi, siriani, iraniani più le Intelligence occidentali intrecciano
in queste ore per stabilire l’immediato futuro, probabilmente è già scritto lo
stop per la ‘Fonte di pace’, che comunque ha provocato qualche decina di morti
in divisa, indeterminate vittime civili kurde, siriane, turche per il fuoco
incrociato da un confine all’altro, più trecentomila sfollati in fuga verso il
sud abitato e anche desertico. Se così sarà, e non è scontato, il Sultano,
regista dell’operazione, può ascrivere il successo dello schiaffo gettato in
faccia all’Occidente, scherno schivato dagli Stati Uniti che Trump gira sugli
alleati d’Europa, sostenendo che pensino loro alla nuova fiammata in quel
tratto mediorientale non del tutto pacificato, né ripulito dall’Isis. L’America
in fuga dalle guerre rognose si mette da parte, e indirettamente ribadisce che
l’arbitro indiscusso del caos siriano resta Vladimir Putin, ovviamente
supportato dal suo stratega della diplomazia Lavrov. Dalla settimana di
avanzamento a sud dei carri di Ankara restano, per ora, oltre alle sparatorie
letali e le fughe descritte, il passo delle Unità kurde verso l’esercito di
Asad, salito a nord a presidiare le terre chiamate Rojava, non si sa se in
futuro a tollerarle.
La tutela a questo fronteggiamento, che non deve
degenerare in conflitto turco-siriano, è fornita dal Cremlino e dall’alleato
iraniano, che magari a Erdoğan direbbe e farebbe quel che non si può fare per
non riaccendere un conflitto su troppi fronti, come la lotta per bande conosciuta
per anni e sedata con la sconfitta dei miliziani di Al Baghdadi. Eppure questa
sistemazione precaria che vede: i legittimisti di Asad sigillare il Rojava, i
combattenti kurdi allearvisi giocoforza per non morire sotto le cannonate
turche, il presidente turco sperare di collocare grazie ad accordi
internazionali in una fascia lunga ben 480 km un congruo numero di profughi siriani
presenti sul proprio territorio (metropoli comprese, come gli 800.000 di
Istanbul), potrebbe a breve diventare lo stato di fatto sancito da Putin, Rohani ed Erdoğan per
sgonfiare questa crisi. E li vedrebbe d’accordo: il Sultano in veste d’ideatore
della soluzione, il presidente russo in qualità di cerimoniere-pacificatore del
caos siriano (ricavando dal regime salvato il favore geostrategico dei sommergibili
nucleari a Tartus), il presidente iraniano, da tempo sotto tutela del partito Pasdaran, a tener vivo l’asse con
Asad per sostenere la forza organizzativa di Hezbollah. Tutto noto. Le novità
riguardano il futuro del Rojava, giocato a dadi da questi signori a detrimento
dell’utopia kurda, e l’incognita perversa del jihadismo,
Dove finiranno i dodici-quindicimila (un migliaio sono già
liberi causa bombardamenti delle prigioni) combattenti dell’Isis? Riformeranno
locali milizie, nonostante l’ipotesi d’un territorio del Daesh da controllare
sembri sradicata? E quelli fra loro che sono combattenti stranieri non pare
possano tornare a casa: almeno ufficialmente i governi di vari Paesi Ue non li
vogliono. Né tantomeno gli Usa son disposti a provvedere con una soluzione
simile ai qaedisti internati a Guantanamo. Solo Erdoğan sostiene di poter trattare
anche questo problema, in cambio della “sistemazione del confine meridionale”.
Così nei giorni o nelle settimane seguenti i kurdi potrebbero perdere
definitivamente l’amato Rojava a seguito di patteggiamenti. Nella peggiore
delle ipotesi verrebbero sradicati dai luoghi abitati, com’è accaduto a molte
etnìe dell’area, nella migliore dovrebbero condividerla con insediamenti
arabo-siriani creati lì per spezzare l’esperimento democratico che ne ha
animato l’impegno e l’esistenza dell’ultimo decennio anche a costo della vita.
La mescolanza delle etnìe produce effetti diversi, un pezzo della guerra civile
siriana è stata combattuta anche attorno a esse, nella contrapposizione fra
arabo-sunniti e alawiti e non solo. Se dal perverso progetto del Sultano potesse
scaturire un effetto novità: la convivenza e la solida relazione attorno
all’utopia democratica fra laici e credenti di varie fedi, essa sì sarebbe una
vera ‘Sorgente di pace’ contro certi tiranni che ancor’oggi decidono su tavoli grondanti
di sangue il futuro di quelle genti.
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