L’intensissima
propaganda attorno alla modernizzazione del suo progetto ‘Vision 2030’, le
ripetute visite internazionali, la disponibilità, i sorrisi, l’aspetto gentile accanto
alle aperture su permesso di guida, pratica sportiva, accesso al cinema per le
donne sono abili meccanismi diplomatico-distrattivi del principe saudita Bin
Salman. Già da tempo il delfino di sovrano Saud ha mostrato l’essenza d’un
realismo politico bene in linea con la tradizione della petromonarchia: assolutismo
e interessi classisti, mire d’egemonia regionale in sintonìa con la geopolitica
del Pentagono in fatto di armamenti, repressione para imperialista. Resta solo
l’incognita d’una prosecuzione del sostegno al fondamentalismo wahhabita. Quanto alla Shari’a usata a strumento di coercizione politica, giunge la
notizia della possibile condanna a morte da infliggere a cinque attivisti dei
diritti accusati di terrorismo. Fra loro una donna, Israa al Ghomgham, una
sciita già nota per azioni di protesta e arrestata col marito nel 2015, che
potrebbe diventare la prima condannata di genere in materia.
Il presunto terrorismo
su cui si pronuncerà la Corte Criminale altro non è che: incitamento alla
protesta, esecuzione di canti e cori ostili al governo, pubblicazione sui
social media di immagini e video relativi alle manifestazioni organizzate nel
governatorato di Qatif. Eppure tanto basta al magistrato per applicare il ta’zir della Legge Islamica che, sebbene
sia rivolto ai reati minori, può a discrezione trasformarsi in pena capitale. Sentenza
da emettere entro il prossimo 28 ottobre. Nonostante i ripetuti pronunciamenti
di apertura il clima repressivo sembra tornato indietro ai momenti bui della
monarchia, quando infiammava la guerra Iraq-Iran e venivano comminate condanne
a morte per gli attivisti della minoranza sciita presenti nei Paesi del Golfo. L’Ong
Human Rights Watch interessata al caso, chiede a Riyadh e alla comunità
internazionale il rispetto della ‘Carta araba dei diritti umani’ che il locale
governo ha sottoscritto. Ciò che viene contestato agli attivisti non ha nulla a
che vedere col terrorismo, riguarda la libertà di pensiero e d’informazione, perciò
anche le Nazioni Unite muovono interrogazioni sul comportamento della corona
saudita. Finora senza esito.
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