Si chiamava Bayan,
diciotto mesi, la piccina uccisa ieri a Gaza dalle bombe d’Israele, che punisce
Hamas della resistenza in atto e gli abitanti della Striscia dell’essere
tuttora in vita. Non aveva ancora un nome, semplicemente perché non era nato,
il bimbo che la madre, la ventitreenne Enas, portava in grembo. Sono morti
anche loro, terroristi, resistenti cui il governo Netanyahu nega l’esistenza.
Dalla fine di marzo la protesta palestinese che chiede quel che settant’anni fa
gli ebrei ottennero, avere un proprio Stato, è stata segnata da 160 vittime e
16.000 feriti. Uccisioni e ferimenti realizzati con spregevole e criminale
cinismo, assassinando bambini e donne, tirando con fucili di precisione su personale
di supporto ai manifestanti: infermieri che distribuivano maschere antigas, volontari
con bottiglie d’acqua, giornalisti che filmavano la mattanza sulla folla in
maggioranza pacifica. Impari scontri s’erano verificati contro giovani armati
di fionde e bottiglie incendiarie, che mai hanno messo in pericolo la vita dei
soldati con la Stella di David. Ma, come in altre occasioni, la sperequazione
dei mezzi e dell’uso della forza non conduce a ragione militari, ufficiali e le
leadership politiche che gli confezionano licenze di uccidere per difendere la
palizzata, la rete simbolo della separazione etnica creata in Israele.
E come si sono accaniti
per mesi mirando alla testa, al cuore dei gazawi - che nonostante le terribili
stragi sottaciute e snobbate dalla politica internazionale, continuavano e
continuano a riunirsi per dire al mondo, oltre che ai propri assassini: noi
esistiamo - ora riprende il massacro dal cielo, già attuato in tante occasioni.
Una carneficina che si ripete, che spazza via migliaia di palestinesi colpevoli
di resistere in quei 40 km, spogli di quasi tutto, non della dignità di popolo
che resiste a tutto. Il triangolo familiare cancellato dal fuoco israeliano,
quella madre, quella figlia, quel bimbo mai nato, che l’aviazione di Tel Aviv
volutamente uccide per vendicare i razzi (100, 150?) lanciati negli ultimi
giorni dalla struttura militare di Hamas oltre il confine, è l’emblema d’una
presunta guerra. Del conflitto impari, sempre frutto d’invasioni israeliane,
che anche nei momenti di scontro aperto da ‘Piombo fuso’ in poi, ha visto la
morìa a senso unico di mille (fra civili e miliziani palestinesi) a uno
(militare di Tsahal). Una pratica che ogni partito, ogni leader politico sionista ciecamente perseguono e con essi il fandamentalismo religioso ebraico
teorizzatore d'un mondo a parte. Tutto noto, con la costante del consenso
internazionale e la variante di ulteriori eccidi, collettivi oppure sfilacciati
in vili agguati come ieri a Jafarawi, Gaza City.
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