Rimostranze, per l’ulteriore svalutazione del rial, la
caduta del potere d’acquisto dei salari, la carenza di scorte d’acqua. Ripetute
periodicamente. E slogan contro i leader religiosi e le loro politiche
antipopolari. In Iran prosegue una fibrillazione con avvenimenti condivisi sui
social, seppure taluni collegamenti diventano sempre più difficoltosi. Nel fine
settimana si sono registrati agitazioni in città dalle meraviglie artistiche
(Isfahan, Shiraz) lanciate da un triennio nel circuito turistico internazionale
e piene di visitatori; più Karaj e Arak,
rispettivamente a 40 e 180 km da Teheran. Minori e limitate le proteste
nella capitale. Uno slogan ripetuto, suonava: “Morte al carovita”. Mentre lo
sciopero degli autotrasportatori, che rivendicano aumenti salariali, ha privato
del rifornimento di carburante alcune zone del nord, compresa l’area di
Teheran. Una vera beffa per un Paese ricco di idrocarburi. La moneta locale è
nella bufera da anni, ma nell’ultimo ha perso addirittura l’80% del valore,
indebolendosi anche per il rilancio delle sanzioni finanziarie imposte da Trump
alla politica statunitense.
Il presidente Rohani è sotto attacco non solo degli oppositori, ma
degli stessi elettori delle classi medie che l’avevano rieletto. A costoro
l’ayatollah diplomatico, che ricuce la politica nazionale da anni polarizzata
dallo scontro fra riformisti e conservatori, non appare più credibile.
L’insoddisfazione resta, la disillusione cresce e la mancata realizzazione
delle promesse normalizzatrici avanzate nel 2013 e rilanciate con la rielezione
del 2017 possono portare solo guai al presidente. Certo, le proteste dello
scorso gennaio erano variegate. A soffiare sul malcontento, soprattutto nelle
roccaforti tradizionaliste come Mashhad, è stata la fazione di Raisi, il
contendente diretto e sconfitto. Da quelle agitazioni i chierici conservatori e
il partito dei Pasdaran cercavano sostegno per incrinare il rapporto di forza
che il presidente riconfermato aveva stabilito nell’urna. Però i giovani scesi
per via nelle due settimane di fuoco di fine anno, pur non ricreando l’onda
verde del 2009, non appartenevano all’onda nera della contestazione
fondamentalista. Sono dei senza partito e senza leader.
Così, a macchia di leopardo, i primi sette mesi del
2018 hanno evidenziato azioni di gruppi sparuti o più corposi richiedenti
aperture, che spesso la geopolitica non consente, oppure semplicemente
opportunità lavorative interne ed estere egualmente difficili da attuare. E
svelamenti di ragazze che mal sopportano anche il ruolo di ‘mal velate’; e
ancora tensioni di imprenditori illusi dalle promesse di affari coi mercati
occidentali che l’embargo strisciante – e ora quello ringalluzzito da Trump –
rendono impraticabili. Più la caduta a precipizio del valore monetario interno
che sotterra il business dei bazari, oltreché qualsiasi prospettiva di
circolazione del denaro con acquisti, anche fra i ceti medi. Un cataclisma
economico, che rientra anche fra le prospettive inseguite dai nemici del regime.
Eppure quest’ultima verità collide con operazioni speculative in cui restano
impegolati personaggi pubblici, legati comunque al sistema, com’è accaduto a
una figura di vertice della Banca centrale iraniana, Ahmad Araghchi, che è
stato recentemente arrestato.
L’uomo è il nipote del noto politico Abbas Araghchi che negli
anni passati ha ricoperto funzioni di vertice presso il ministero degli Esteri.
Non sono ancora chiari gli addebiti, certo è che la sponda conservatrice tuona
contro “i corruttori economici”, e l’attuale ministro degli Esteri Zarif cerca
di offrire qualche sortita a un quadro oggettivamente complicato dal rilancio
delle sanzioni. Ma quando la gente comune si trova di fronte a soggetti che
sottraggono miliardi tramite raggiri e operazioni speculative l’impatto emotivo
risulta controproducente per l’intero establishment. Seppure la conflittualità
interna per il potere provi a cavalcare ogni protesta economica, sociale,
salariale. Le ultime paiono molto disilluse, mancanti di alternative concrete.
E la spallata anti regime che gli oppositori filo occidentali (spesso riparati
all’estero) sperano possa prodursi, non accade. Secondo alcuni analisti perché
la macchina propagandistica del sistema riesce a compattare la popolazione sul
tema della sicurezza nazionale messa in pericolo da tentativi destabilizzanti
pilotati, contro cui l’apparato della forza ufficiale (polizia) e volontario
(strutture paramilitari basij) riesce ad avere la meglio.
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