sabato 28 settembre 2013

Obama-Rohani, stretta di voce


L’atteso contatto c’è stato. Non ratificato dall’auspicata stretta di mano ma egualmente efficace perché le voci sono piene di buone intenzioni. E’ stato il più giovane Barack Obama a telefonare all’omologo Hassan Rohani. C’è chi giura che i presidenti di due Stati fino al mese scorso a rischio conflitto avranno un faccia a faccia, magari a breve dopo il 15-16 ottobre quando a Ginevra i funzionari di Teheran dovranno presentare il rinnovato piano nucleare “a uso esclusivamente civile”. E’ il frutto dei buoni propositi già espressi negli interventi dei giorni scorsi al Palazzo di Vetro dell’Onu e di questo quarto d’ora telefonico diventato storico con cui i due capi di Stato sanciscono un riavvicinamento dopo 34 anni di silenzi, accuse, minacce, operazioni d’Intelligence e venti di guerra. Jimmy Carter e Reza Pahlavi, il volto d’un altro Iran, furono gli ultimi uomini immagine a colloquiare dalle due sponde. Seguirono la fuga del sovrano-dittatore, il rientro in patria di Khomeini, la Rivoluzione islamica, la crisi dei 444 giorni scaturita dall’occupazione dell’Ambasciata statunitense a Teheran da parte dei giovani studenti iraniani che sequestrarono un manipolo di funzionari statunitensi. Durante la svolta riformista di fine anni Novanta nel paese islamico che aveva condotto alla carica di presidente Khatami, le tensioni s’erano solo parzialmente attenuate.

Ripresero focose con la salita al potere della fazione dei Guardiani della Rivoluzione sostenitori di Ahmadinejad. Due i motivi del contendere: uno ideologico, legato ai pronunciamenti negazionisti del presidente-basij riguardo alla Shoah, l’altro pratico che coinvolge la corsa alla produzione nucleare iraniana accusata da Washington d’essere una copertura per l’acquisizione dell’arma atomica. In entrambe le questioni lo zampino di Israele, principale alleato statunitense in Medio Oriente e acceso persecutore, assieme alla monarchia saudita, delle mire egemoniche regionali di Teheran. Naturalmente anche varie amministrazioni della Casa Bianca, repubblicane o democratiche non ha mai fatto differenza, hanno sposato la tesi del contrasto aperto con la nazione che diventerà il fulcro del bushano “Asse del Male”, per quanto Ronald Regan non tenero verso gli ayatollah quand’era ancora in vita il Ruhollah Khomeini, celasse dietro i proclami favorevoli all’embargo ben altri interessi lobbisti della sua nazione, come rivelò l’affaire Iran-Contras. Eppure questa è già storia passata e conosciuta dei rapporti fra Usa e Iran che nei tre decenni di ‘muso duro a distanza’ vestivano rispettivamente i panni del gendarme del Medio Oriente (e del mondo) e di avanguardia del fronte antimperialista che surclassava mai realizzate rivoluzioni marxiste in loco per venire poi insidiato dal Jihad qaedista.

L’attuale avvicinamento Stati Uniti-Iran, magari non stravolgerà preconcetti e intenti presenti fra le due dirigenze, ma sta ricevendo consensi internazionali diffusi sia per superare attriti ed embargo sul nucleare di Teheran, sia per attenuare la crisi siriana, attuali questioni che minacciano la sicurezza e la pace in vasta area. In entrambe le nazioni qualcuno rema contro: la tivù di Stato iraniana non ha riportato per intero le risposte del proprio presidente ne ha sottolineato i passi meno aperti, a una diffusione più fedele della cronaca ha provveduto direttamente l’ufficio di presidenza di Rohani. Invece di futuro probabile “faccia a faccia” ha parlato un consigliere della Guida Suprema Khamenei che suggella in tal modo il suo benestare all’operato del presidente riformista. Anche qualche commentatore d’Oltreoceano non gioisce per il riavvicinamento delle parti, facendo notare che si tratta dell’ennesima tattica per lenire i dolori economico-politici delle sanzioni e “solo con l’effettiva chiusura dell’impianto di acqua-pesante di Arak si potrà ricevere un segnale d’inversione di tendenza”. Costoro non vogliono tenere in nessuna considerazione le parole con cui Rohani si presenta al mondo: “Non abbiamo mai scelto la via dell’inganno, non abbiamo segreti”. 

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