martedì 24 settembre 2013

Assemblea Onu: silenzio parla Rohani


Il rito dell’assemblea annuale delle Nazioni Unite trova nel discorso del presidente iraniano Rohani, che parlerà in tarda mattinata dopo l’intervento di benvenuto di Barack Obama, gli occhi puntati del mondo. Nei cinque giorni di permanenza newyorkese l’ayatollah riformista ha programmato meeting a tutto tondo: faccia a faccia col presidente Usa e leader europei anche su questioni spinose come la crisi siriana e la vicenda del nucleare del suo Paese, più incontri con studenti, media e iraniani espatriati (non è chiaro se ci siano pure i dissidenti al regime). Nel suo tendere la mano all’Occidente ha già premesso l’intento di mostrare la vera faccia iraniana, ben diversa da quella che appariva agli occhi del mondo fino a qualche tempo fa. Non ha mai pronunciato il nome del predecessore Ahmadinejad ma i riferimenti sono espliciti. A rincarare la dose e allargare il tappeto rosso dello sforzo diplomatico è sopraggiunto il pensiero d’un altro presidente iraniano, Khatami, la cui lettera pubblicata oggi dal Guardian (e sottoscritta anche da intellettuali come Hajjarian, Farhadi e il riformista Tajzadeh) è un’esortazione all’Occidente ad avere il coraggio e raccogliere l’invito al dialogo.
Lotta all’estremismo – L’ex presidente della speranza coi suoi due mandati a cavallo fra la seconda metà degli anni Novanta e l’inizio del Millennio aveva cercato di aprire alle componenti giovanili e femminili dialogando con loro, contro il volere dei gruppi  tradizionalisti del clero calamitati attorno al vecchio ma sempre potente ayatollah Yadzi. Il contrasto con gli Stati Uniti, rinfocolato dal clima di guerra nel Grande Medio Oriente attraverso l’Enduring Freedom e la successiva invasione irachena fortemente volute da Bush jr, non favorì la distensione dei rapporti internazionali iraniani tantoché nella politica interna i chierici conservatori appoggiarono il candidato basij scelto dal partito dei Pasdaran, appunto Ahmadinejad. Quel braccio di ferro fra le fazioni del clero e del mondo politico iraniano prosegue, sebbene anche i più oltransisti si rendono conto che l’isolamento nuoce all’economia del Paese e può produrre gravi instabilità interne. Le elezioni che hanno visto prevalere Rohani hanno rimescolato le carte. I numerosi candidati conservatori presenti si sono dovuti piegare all’inatteso successo riformista frutto dell’enorme partecipazione al voto di un’infinità di donne e giovani sotto il 25 anni che fino alla vigilia si dichiarava astensionista. L’ammonimento di Khatami è il seguente: non cogliere simili segnali e ripetere, da parte di tutti, gli errori del passato può avere conseguenze tragiche in un’area che ora va ben oltre i confini iraniani. 
Proposte – “Con l’Occidente va intrapresa la via del dialogo e di reciproci interessi” è stato il refrain lanciato alla propria stampa da Rohani alla vigilia del viaggio americano e da fine diplomatico ha dato prova di buona volontà facendo liberare 80 detenuti politici. Nell’elenco delle buone intenzioni non ha aggirato le questioni scottanti come il nucleare, ribadendone un uso esclusivamente energetico e pacifico. A Tel Aviv storcono il naso e per rabbonirli il presidente riformista s’è fatto accompagnare al Palazzo di Vetro da un deputato ebreo di Teheran, oltre che dall’abile ministro degli Esteri Mohammad Zarif già ieri impegnato sul tema nucleare con la responsabile degli affari esteri dell’Unione Europea Ashton. Il Rohani disponibile ha però messo sul tavolo di future trattative una richiesta irrinunciabile: la fine dell’embargo che sta incrudendo la vita nelle campagne e nelle grandi città di casa. Un civile rilancio di relazioni non può prescindere da tale passo, e qui la patata bollente finisce nelle mani del presidente americano che nella sua versione interventista (contro la Siria, ma secondo taluni analisti in seconda battuta resta l’Iran) ultimamente ha dato spazio a falchi vestiti da angeli come la consigliera Samantha Power. In base alle dichiarazioni del rappresentante di Israele all’Onu Yaval Steinitz (“Importanti sono i fatti, non le apparenze. Di fronte a un progetto nucleare le sanzioni proseguiranno e se servirà anche un’azione militare”) l’orizzonte non è affatto sereno.

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