venerdì 21 marzo 2025

Saraçhane e Gezi Park due Istanbul lontane

 


Se i giardini Saraçhane, nello storico quartiere di Fatih, diventeranno una nuova Gezi Park, a distanza di dodici anni dalla rivolta che ha creato una frattura fra un pezzo della città-simbolo e Recep Tayyip Erdoğan suo cittadino più illustre e sindaco e premier e presidente, si vedrà. Anche quella protesta partì in sordina, incendiandosi lungo un percorso temporale di settimane e finendo nel sangue d’una lacerante repressione. Da allora iniziava ad acuirsi il divario fra un Islam politico reinventato proprio dal suo figlio di Kasimpaşa e il kemalismo che l’aveva persino soffocato. Anche allora magistrati, su imbeccata di militari e  politici, decidevano cosa si poteva dire e fare quando Erdoğan paragonò moschee e caserme, minareti e baionette, fedeli e soldati – riprendendo peraltro versi del poeta Gökalp – finì in galera, ma non per molto. Il Novecento stava per chiudere il suo ciclo e l’uomo nuovo della Turchia che, con quella condanna, avrebbe potuto abbandonare la politica ritrovò a breve tutte le opportunità, moltiplicandole per mille. Potrebbe, dunque, ben sperare l’attuale sindaco Ekrem  İmamoğlu incarcerato mercoledì con accuse più materiali d’un reato ideologico, sebbene i suoi difensori e i fratelli del partito repubblicano erede del kemalismo storico, parlino di persecuzione ideale contro un avversario reale. L’unico,  sostengono, in grado di mettere in ginocchio l’attuale presidente e il suo sistema alle elezioni del 2028. Che, però, sono lontane abbastanza per far sì che i fatti interni al Paese: la svalutazione pazzesca della lira, la girandola di ministri economici in disaccordo con l’eterodossa “cura” voluta dal presidente in persona, i ripetuti tagli dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale e un carovita angosciante,  risultino meno spiazzanti rispetto al ruolo internazionale giocato dalla Turchia erdoğaniana sullo scacchiere regionale e globale.

L’elezione che avrebbe dovuto scalzare Erdoğan dal potere nel maggio 2023, in fondo gli ha fatto trovare consensi più grazie al suo pragmatismo nazionale e internazionale che a seguito dell’inadeguatezza dell’alternativa, l’allora leader del Chp Kılıçdaroğlu. Ma era il programmino repubblicano a difettare sebbene ci sia chi pensa che col rampante e determinato İmamoğlu sarebbe stata un’altra storia. I suoi sostenitori che in queste ore nel recinto di Saraçhane, ma pure ad Ankara, Izmir e nell’originario distretto della Trebisonda urlano invettive su polizia, giudici e governo in carica, imprimono sui cartelli la speranza nel conducador. Lo definiscono Cesare, lo vogliono opporre al Sultano, quasi servisse un uomo forte contro l’uomo degli strappi e della forza. In questo la piazza Saraçhane dista da quella di Gezi Park non solo per collocazione urbana nella metropoli sul Bosforo. E’ l’elemento ideale che le distingue. Per il sindaco indagato c’è un sostegno di partito, magari anche studentesco, e forse milioni di istanbulioti arriveranno. A Gezi c’era la gioventù ribelle e senza partito. Anarchici e bohémien, mamme ambientaliste e inquilini di d’una Galata sempre più snaturata dall’affarismo, comunisti non ancora arrestati e i giovani turchi del Terzo Millennio molto diversi da chi sotto quel nome dette avvìo al nazionalismo razzista. Peraltro nelle enclavi cittadine dove l’islamismo non è di moda, da quelle che amoreggiano fra Karaköy e Üsküdar, l’entusiasmo per İmamoğlu non è scontato. Gli alternativi lo valutano come un’altra faccia del sistema, targato con sigla politica differente, ma non certo un innovatore in fatto di morale, diritti, visione del mondo. Lo scontro ufficiale ha ruotato attorno alle dichiarazioni del capo del Chp Özel: "İmamoğlu ama il suo Paese e la sua gente; non è un ladro o un terrorista", cui il ministro della Giustizia Tunç risponde: "Chi occupa posizioni di responsabilità deve mostrare maggiore attenzione nelle dichiarazioni". 

 

Per ora, secondo la legge vigente, la certezza è che entro quattro giorni (dunque domani) i fermati dovranno essere rilasciati o incriminati. Su İmamoğlu pesano sette imputazioni. La corruzione starebbe alla base delle tangenti richieste a mezzo dell’attività di Medya A.Ş. che così si descrive sul suo sito ufficiale “Filiale della municipalità metropolitana di Istanbul fondata nel 2011, siamo tra i pionieri del settore dell'editoria digitale con i nostri canali pubblicitari e promozionali interni ed esterni dislocati in ogni angolo della città… Siamo un'agenzia di comunicazione digitale a 360°. Raggiungiamo milioni di cittadini sulle strade, nelle piazze e sui mezzi pubblici, stabilendo una comunicazione ininterrotta con gli abitanti nelle fermate degli autobus, rastrelliere fisse, mega-luci e i nostri schermi digitali dislocati in tutta la città. In IBB TV, nelle aree di nostra proprietà, come gli schermi esterni, o nei media che utilizziamo come strumenti di trasmissione, come i social media e Modyo TV. Produciamo contenuti in diversi formati sugli investimenti cittadini dell'IMM, sulle attività culturali e artistiche, sugli sviluppi tecnologici e sulle attività sportive, e trasmettiamo in diretta le riunioni del Consiglio e le gare d'appalto dell'IMM tramite IMM TV”. Insomma un colosso, addentato dal molosso giudiziario che gli attribuisce nel percorso di assegnazione di gare d’appalto la richiesta di tangenti alle varie imprese. Il sindaco sarebbe in combutta con tutto quest’apparato. Altre accuse, ovviamente da provare, comprendono la coercizione di uomini d'affari a versare contributi finanziari illegali, il coinvolgimento in transazioni fraudolente tramite persone autorizzate a riciclare fondi ottenuti illegalmente e l'utilizzo delle cosiddette "riserve segrete di denaro contante" gestiti da intermediari per facilitare i trasferimenti e le riscossioni di denaro.

 

Un'altra imputazione riguarda la manipolazione sistematica delle offerte comunali relative agli spazi pubblicitari esterni. I procuratori sostengono che le società affiliate hanno istituito società di copertura per fingere transazioni commerciali con filiali municipali, gonfiando i valori contrattuali per giustificare guadagni illeciti sempre attraverso tangenti. E ancora: frode su vasta scala che coinvolgeva progetti municipali inventati e inesistenti destinati unicamente a nascondere l'appropriazione indebita di fondi pubblici. I magistrati affermano che i dati personali appartenenti ai residenti di Istanbul sono stati acquisiti illegalmente e sfruttati per garantire la continuità operativa della rete criminale. Almeno in questa serie di accuse ce n’è per confermare la detenzione. Ci s’aggiunge anche il presunto coinvolgimento nel favorire l'organizzazione terroristica Pkk. La procura dice che il sindaco, consapevolmente e volontariamente, ha partecipato a un "consenso urbano", una collaborazione elettorale strategica tra il Chp e il partito pro kurdo Dem, attuato nelle amministrative dello scorso anno. E poi che simpatizzanti e affiliati dell'organizzazione terroristica siano stati collocati all’interno dei municipi. Da domani gli scenari possibili per l’imputato più illustre potrebbero risultare: 1) assoluzione o rilascio in attesa del processo. İmamoğlu potrebbe riprendere le sue funzioni di sindaco senza interferenze immediate. 2) Sebbene liberato, il Ministero dell'Interno potrebbe rimuoverlo dall'incarico, citando un'indagine in corso sul terrorismo e sostituirlo con un fiduciario governativo. 2) Se arrestato per accuse di terrorismo, il Ministero dell'Interno assegnerebbe un fiduciario per sostituirlo. 3) Quest’imputazione lo farebbe decadere  anche se venisse inizialmente liberato. 4) Se fosse formalmente arrestato per aver guidato un'organizzazione criminale con accuse di corruzione, il comunale si riunirebbe per eleggere un nuovo sindaco, senza una persona nominata dal governo.

Nessun commento:

Posta un commento