İmamoğlu va in galera, questo ha deciso il Tribunale di Istanbul, ma non per fiancheggiamento al terrorismo del Pkk, l’accusa più pericolosa perché l’avrebbe fatto immediatamente decadere dalla carica di sindaco della metropoli. Restano le imputazioni per corruzione e frode, reati penali con una ricaduta politica visto che l’imputato ha rigettato ogni accusa, definendole infondate e pure immorali, affermando di non aspettarsi nulla di buono da una magistratura pilotata. Da chi lo sanno tutti, specie le decine di migliaia (il Partito Repubblicano ha parlato di mezzo milione) di cittadini in strada solidali col sindaco e infuriati col manovratore. Lui è l’anima della Turchia islamista e tuttora presidente Erdoğan, e vista la piega presa dalla contesa ha alzato la voce difendendo magistrati contestati e poliziotti attaccati dalla piazza tinta di rosso dalle bandiere del Chp. Che poi è il vessillo turco. Una piazza lievitata in queste ore prima e dopo il pronunciamento dei giudici; strabordante oltre i giardini di Saraçhane, dov’è il Municipio reso fortino della resistenza dai sodali di İmamoğlu. E l’immane schieramento di polizia in tenuta antisommossa, che finora ha ‘idratato’ e ‘gasato’ i sostenitori-contestatori cerca di contenere anche possibili scontri con l’elettorato pro Akp che nel quartiere storico di Fatih è di casa. Se i numeri della protesta sono reali non è solo la militanza kemalista a mobilitarsi. Ci sono gli studenti, che già nei giorni passati si autoconvocavano a difesa d’ogni libertà, d’espressione e d’azione, compresse e spesso schiacciate da almeno un decennio, sebbene su bersagli diversi: la gioventù ribelle di Gezi Park, giornalisti, gülenisti, golpisti, kurdi. Un anno via l’altro il Sultano ha cementato il “suo popolo” tramite lo scontro con “attentatori” alla sicurezza della Paese, scippando il simbolo di nazione di cui proprio i kemalisti del Chp si facevano depositari. Islam nazionalista e populista è la ricetta servita fino alle ultime presidenziali vinte contro un candidato di questo partito.
Ma non era İmamoğlu, che a detta dei sondaggisti straccerebbe un ormai logoro Erdoğan vittima della supponenza con cui ha fatto il vuoto intorno a sé, privando lo stesso Akp di uomini utili alla conservazione del potere, e impedendo la crescita di nuove leve. Tantoché per le imponderabili presidenziali del 2028 pone fra le soluzioni possibili l’ennesimo ritocco costituzionale che gli allungherebbe il mandato. Preoccupati dalla piega illiberale sino all’inverosimile che sta caratterizzando la vita politica interna, i turchi della generazione erdoğaniana, quelli nati sotto i suoi governi ma nei quali non si riconoscono e che non vogliono invecchiare sotto di lui, si mobilitano fuori dalle sigle di partito. In questo possono somigliare ai contestatori di Gezi Park, all’epoca nient’affatto ben voluti da tutti i gruppi del Meclisi, fatta eccezione per il Partito della Pace e Democrazia allora con la sigla Bdp, diventata Hdp e ora Dem. I kurdi legalitari che siedono in parlamento, se non vengono arrestati con l’accusa di fiancheggiamento del Pkk. Furono i loro militanti a parteggiare per i çapulcu (saccheggiatori) come Erdoğan definiva i difensori del parco Gezi, creando dissapori nello stesso Akp nel quale l’ex vice Şener si scagliò contro la linea dura voluta dall’allora premier, seguito dal presidente del Partito della Giustizia Gül. Anche quando le pallottole di gomma e i lacrimogeni mietevano vittime (a fine protesta si contarono undici morti e oltre ottomila fra feriti e intossicati) i kemalisti di professione parlamentare speravano che il governo cadesse, ma non sporcavano le mani con le barricate. Stavolta sarà diverso? Intanto l’apparato del Chp, per rafforzare il sostegno al sindaco incarcerato, ha disposto la sua unica candidatura alle primarie indette per oggi che s’annunciano partecipatissime. Una gran quantità di istanbulioti si sta recando nei centri disposti dal Partito Repubblicano per deporre la scheda nell’urna. La resa dei conti fra İmamoğlu ed Erdoğan è iniziata.
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