Ci vuole la faccia di bronzo che sfoggia da decenni, facendo prima il playboy da strapazzo in osservanza a un compiaciuto machismo che continua a ostentare fino e oltre la sua salita in vetta a Israele per plasmarlo con un volto razzista sempre più senza fondo. Benjamin Netanyahu, premier della sedicente unica democrazia mediorientale è ospite nell’intervista di uno dei direttori più filosionisti del panorama giornalistico italiano: Maurizio Molinari di quella Repubblica che fu di Eugenio Scalfari. Intervista d’apertura odierna, giustificata, diranno a Via Cristoforo Colombo, dall’imminente visita che Bibi s’appresta fare in Italia. Due paginone fitte con tante foto, compresa quella recente d’un compunto nostalgico Ignazio La Russa, ora seconda carica del nostro Stato, assorto con kippah d’ordinanza davanti al Muro del Pianto. Il governo della destra post-fascista attento alla cosmesi e pronto a rifarsi il trucco per ampliare i suoi favori vaga da Orbán a Morawiecki e Rutte, cercando sponde fra Al Sisi e bin Rashid e giungendo, di reazione in reazione, allo strafottente Netanyahu. Questione di feeling… Lui non si cura delle proteste che gli stessi concittadini ebrei, per cui tanto si batte producendo apartheid antiarabo, stanno inscenando da settimane temendo regressioni pericolose per la prevista “riforma” di una giustizia, che a suo dire non può essere Onnipotente. Guidando l’esecutivo più reazionario della storia d’Israele, puntellato dal voto dei Ben Gvir e Smotrich, è contestato per il mancato rispetto delle minoranze, il riferimento è la comunità Lgbtq, i palestinesi non sono affatto contemplati nelle manifestazioni di piazza. Ma tant’è. Chiunque, se vorrà potrà leggere le risposte offerte da Netanyahu, qui ci concentriamo su un concetto e un’amenità presenti nell’intervista.
Il
primo riguarda uno degli scopi del viaggio a Roma, accanto
alla joint venture sull’acquisto del gas
del giacimento Leviathan che negli ultimi anni Israele s’è trovata in fondo al
Mediterraneo. Si tratta del riconoscimento di Gerusalemme quale capitale del
proprio Stato. Un passo compiuto da Donald Trump in faccia a tutte le
dichiarazioni Onu che hanno condannato l’occupazione della città dall’epoca
della ‘guerra dei sei giorni’. Una richiesta irricevibile per i membri delle
Nazioni Unite che hanno votato compatti contro la proposta (favorevoli solo
Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau, Isole Marshall), convinti
di respingere i reiterati crimini e le vessazioni con cui l’esercito di Tel
Aviv uccide persone, espropria e distrugge case a Gerusalemme est, dove la
popolazione palestinese è vissuta da generazioni, un secolo via l’altro. Per
tacere degli insediamenti illegali dei coloni, aumentati a dismisura
soprattutto nel corso dei vari governi Netanyahu in quell’area orientale della
Città Santa, da Ma’ale Adumim a Pisgat Ze’ev. Lo sproloquio del primo Ministro
ci riserva anche la citata amenità: il presunto garibaldinismo del padre del
sionismo Teodoro Herzl che “vide nel
Risorgimento e in Garibaldi un esempio a cui ispirarsi per l’unificazione e la
liberazione di un popolo intero”. A Caprera ci sarà stato sicuramente un
sommovimento tellurico: va bene che di usurpatori di sue gesta e pensieri
l’eroe dei due Mondi ne ha conosciuti
parecchi durante il secolo vissuto e nel Novecento, ma questa poi. Certo Herzl
s’era infiammato per l’affare Dreyfus e speso per cercare soluzioni
territoriali per una nazione ebraica, dal Sudamerica all’Uganda. Che
stravedesse per Garibaldi i nostri studi storici non l’avevano mai scoperto. Chissà
quale documentazione Netanyahu fornirà, se la fornirà, alla patriota Giorgia
per convincerla della bontà di questa tesi. Magari prossimamente il sagace
Molinari ne scriverà su La Repubblica e impareremo qualcosa di nuovo su Risorgimento e Sionismo.
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