venerdì 24 marzo 2023

India, Gandhi sospeso dal Parlamento

 


Più dell’urna può la legge e quella sulla diffamazione, vera o presunta, pone ostacoli seri a politici di varie sponde. In India Rahul Gandhi, il candidato che può impensierire il primo ministro Modi alle elezioni del 2024, si ritrova da ieri sospeso dal ruolo di parlamentare e di politico per una condanna ricevuta. Galeotta è stata una sua frase pronunciata nel 2019: “Perché da noi tanti ladri hanno il cognome Modi?”. Uscita un po’ infelice per i tanti signori Modi e indiretta stoccata al premier in carica, che ora la Corte del Gujarat giudica offensiva con conseguente reprimenda dai pesanti risvolti: due anni di reclusione e interdizione dalla politica attiva. I legali del nipote di Indira hanno già inoltrato la domanda di sospensione della misura, ma la legge indiana peraltro antica - la ‘Representation of the People Act’ è del 1951 - impone la squalifica di ogni politico "condannato per qualsiasi reato e condannato alla reclusione per non meno di due anni". Gandhi junior avrebbe dovuto conoscere, o farsi raccontare, quanto era capitato a nonna Indira, rimossa nel 1977 dalla carica di primo ministro per iniziativa d’un Tribunale, sebbene quella diatriba durò un tempo brevissimo. Il caso di Rahul sembra una fotocopia di ciò che è accaduto al sindaco di Istanbul, il repubblicano İmamoğlu. Questi, nella prossima scadenza elettorale turca del 14 maggio, avrebbe potuto incarnare un’alternativa presidenziale a Erdoğan molto più del collega di partito Kılıçdaroğlu. Invece s’è ritrovato escluso per una condanna, anch’egli a due anni di detenzione, comminatagli lo scorso dicembre. Il motivo: insulti a funzionari pubblici durante le amministrative del 2019. 

 

Anno fatale quello che ha preceduto la pandemia per i politici citati, ma al di là della scaramanzia c’è il fatto che alcuni leader dal piglio autoritario capaci d’influenzare la magistratura o contornati da giudici compiacenti, riescono a orientare la condizione di avversari per loro “pericolosi” che ne potrebbero pregiudicare la gestione del potere. Frattanto il Congress Party, al quale Gandhi appartiene come deputato del collegio di Waynad nello Stato federale del Kerala, è sul piede di guerra: "Il governo non si rende conto che Rahul Gandhi nel Lok Sabha (il Parlamento, ndr) poteva non essere così pericoloso come lo diventeranno le strade dell'India se la condanna non verrà cancellata. La gente è con noi". Se fra i commentatori c’è chi parla di “giornata nera per la democrazia indiana”, diversi analisti hanno valutato l’iniziativa della Corte del Gujarat un palese favore a un governo che non accetta critiche, neppure di carattere politico. Poi c’è chi avanza l’ipotesi della battuta scherzosa da parte di Gandhi, il suo sarebbe stato un paradosso che non voleva offendere i Modi di strada e di governo. Tesi azzardata, poiché il politico deve saper misurare parole ed esempi. Però, c’è un però. A più d’un seguace dell’hindutva (la linea razzista del fondamentalismo hindu) aderente anche al partito di governo sono sfuggiti di bocca inviti “a sterminare i musulmani” o frasi d’odio che incitano a “sparare agli islamici” e se in qualche circostanza un magistrato ha aperto un’inchiesta la posizione del Bharatiya Janata Party è stata la seguente: si trattava di celie, scherzi camerateschi senza importanza, anche se poi i morti per via ci sono stati davvero. Contro il doppio binario della giustizia si pronunciava Gandhi medesimo, ma da oggi si vede azzittito e rischia di veder soffocata la voglia di battersi all’ultimo voto contro Narendra Modi.

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