S’appoggia ad Al Jazeera Amir Khan Muttaqi, ministro degli Esteri dell’Emirato afghano. L’emittente qatariota è fra le poche al mondo a offrire un’informazione a 360 gradi, con un’attenzione specifica per il vicino e lontano Medio Oriente. Magari lo fa per l’intento di grandezza che l’editore emiro Al Thani mostra in questo e altri settori d’investimento. Eppure in sua assenza noi stessi non avremmo modo di avvicinare il pensiero di politici sgraditi al ‘blocco Occidentale’ che invece l’emittente di Doha accoglie ai suoi microfoni. La voce di Muttaqi, che alla stregua del diplomatico Baradar appartiene alla componente colloquiale dei talebani d’Afghanistan, segue logiche proprie. Non solo propone un punto di vista soggettivo, ma non lesina uscite propagandistiche sul Buongoverno dei turbanti. Un esempio: “Il nostro governo ha adottato misure per districarci dalla dipendenza paralizzante di aiuti stranieri, stiamo "afghanizzando" tutti i settori, rendendoli più responsabili delle esigenze della popolazione, ci concentriamo sulla capacità di sviluppo e sostenibilità. Allo stesso tempo comprendiamo che la natura globalizzata delle relazioni moderne significa che ciascuno deve imparare a vivere in armonia e pace con gli altri. Tali relazioni dovrebbero fondarsi sui princìpi immutabili di uguaglianza, rispetto reciproco e cooperazione attraverso il perseguimento di interessi condivisi”. Muttaqi sottolinea lo sforzo, almeno teorico, per un riavvicinamento tra l'Afghanistan e il mondo. Dichiara: “A livello nazionale l'unità e la coesione della società sono più forti che mai. Celebriamo e siamo orgogliosi della nostra diversità e della nostra ricca storia. Non vogliamo imporre la volontà della maggioranza a una minoranza. Ogni cittadino del Paese è una parte inseparabile del tutto collettivo”. Un impianto umanitario che ribadisce aspetti positivi sul piano della sicurezza interna, a suo dire ampiamente migliorata per la cessazione del conflitto interno. Nulla però dice sull’incidenza delle azioni armate e degli attentati dell’Isis Khorasan. E quando Muttaqi fa riferimento a un proprio governo “indipendente e potente”, dribbla sui rapporti fra fazioni come quella Haqqani, vicina ai Tehreek-e Taliban pakistani nient’affatto pacifici col proprio Stato ed elemento d’instabilità regionale.
Gran parte delle affermazioni del ministro degli Esteri s’incentrano sul bisogno di futuro, possibile se ci si scrolla di dosso le negatività accumulate in un trentennio diviso fra conflitti dei Signori della guerra e occupazione Nato. Da cui sono derivati corruzione, assistenzialismo, impossibilità di sviluppare un’economia autoctona, diffusione della produzione del papavero da oppio, che i taliban dicono d’aver impedito con la nuova salita al potere. Un fattore centrale perché a Kabul e nelle province si torni a respirare è anche ricevere i fondi bloccati nelle banche statunitensi, i famosi 9.5 miliardi di dollari di cui si discute dal settembre 2021. E poi “Occorre eliminare tutti gli ostacoli al commercio transnazionale, all'estrazione delle risorse naturali e all'attuazione dei mega progetti nazionali. Da parte nostra rimaniamo impegnati a garantire un ambiente favorevole e a lavorare con tutti gli Stati sulla base degli interessi comuni. Un Afghanistan autosufficiente è nell'interesse di tutti, un Afghanistan fallito mette a repentaglio ogni cosa del presente e del futuro”. Per Muttaqi il governo dell’Emirato ha facilitato il movimento degli afghani che desiderano viaggiare all'interno o all'estero. Forse lo fa non ostacolando le fughe della speranza nella migrazione clandestina… “Abbiamo anche mantenuto circa 500.000 membri della precedente amministrazione, aumentando le dimensioni del settore pubblico” così riferisce. Il ministro, che ha anche curato l’Informazione e la Cultura e nel quinquennio 1996-2001 ha rivestito l’incarico di responsabile dell’Istruzione, nulla dice sulle coercizioni per le donne, sull’impedimento dell’istruzione superiore e pure universitaria per le studentesse, sulle restrizioni alla libertà di lavoro e di circolazione femminili. Nel discorso non affronta mai il tema dei diritti. Invece ammonisce: “la sensibilità religiosa e culturale della nostra società richiedono un approccio cauto. Quei governi che non hanno mantenuto il giusto equilibrio su tali sensibilità hanno affrontato difficoltà”. “Noi crediamo nel dialogo e nello scambio d’idee, in un'atmosfera libera da pressioni politiche o economiche, volta a trovare soluzioni pratiche e a dissipare incomprensioni” però non c’è traccia di proprie aperture. Per ora il bel gesto resta un proclama, un richiamo affinché all’estero comprendano il volere talebano.
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