Se l’opposizione a sei turca partorisce il topolino Kılıçdaroğlu da opporre al sultano Erdoğan, quest’ultimo entra nella campagna elettorale ponendo temi da statista: "Per noi il centro dell’attenzione continua a essere il terremoto e il ripristino dei danni. Non digeriremo una campagna elettorale basata su polemiche politiche quando dieci milioni di concittadini sono tuttora piegati dal terremoto che ha distrutto una parte del Paese" ha dichiarato alla stampa mentre si diffondeva la notizia della candidatura alternativa del segretario del primo partito d’opposizione. L’accordo sul suo nome che tre giorni fa aveva visto il diniego della leader dell’İyi Parti, propensa a una candidatura da scegliere fra i primi cittadini, sempre repubblicani, di Istanbul e Ankara, è giunta per una retromarcia della stessa Akşener. Tornata a dialogare con gli altri cinque alleati del Tavolo, qualora Kılıçdaroğlu venisse eletto, ha spuntato la vicepresidenza della Repubblica per i sindaci İmamoğlu o Yavaş. Gli alleati sorridono soddisfatti, ma l’unità ritrovata avrà bisogno di verifiche perché composta da anime assai diverse. Due partiti (Deva e Future Parti) sono retti da ex strettissimi collaboratori di Erdoğan che non sono ben visti da una buona fetta dell’elettorato kemalista. Per mettere alle strette il partito-regime l’opposizione dovrebbe non solo collaborare, ma aver pianificato un progetto per un Paese esposto a una dura crisi economica. Colpito da una pesantissima inflazione, attualmente una lira turca vale cinque centesimi di euro, anche i generi di prima necessità diventano meno accessibili per strati sociali che con la disoccupazione sono entrati nella fascia di povertà. Certo, approvvigionamenti alimentari ed energetici non mancano, la Turchia non è l’Egitto né la Tunisia, proprio in virtù del forte peso internazionale raggiunto in base alla pur rischiosa politica estera del Capo di Stato.
Apprezzata non solo da Mosca o Pechino, riavvicinati col ripristino d’una tarda ‘Guerra Fredda’ che le contrapposizioni sulla questione ucraina ha creato con Washington, ma necessaria agli stessi Stati Uniti che, rilanciando la centralità della Nato, non possono rinunciare al maggiore esercito di punta nel Mediterraneo rappresentato appunto dai soldati di Ankara. Per tacere di quanto l’Unione Europea conti su scelte e proposte dell’attuale presidente turco. La questione migrazione, spina nel fianco dell’Unione per le ritrosie e le chiusure dei governi razzisti del blocco di Visegrád, ha trovato nella linea erdoğaniana una soluzione alle proprie contraddizioni. Se a Bruxelles si parla di diritti umani non è detto che in cuor proprio tanti deputati europei sperino che l’unico sisma turco resti quello terrestre, poiché uno sconquasso politico introdurrebbe parecchie incognite. Qualora dovesse prevalere alle urne il “Tavolo dei sei” avrebbe davanti non solo il gigantesco compito della ricostruzione post terremoto (ieri è stato aggiornato il numero delle vittime salito a 46.000), ma dovrebbe ricentrare il suo ruolo geopolitico regionale e nei rapporti con la Ue. All’interno, poi, i diversi orientamenti possono sbizzarrirsi in aperture o chiusure. Le prime, importanti perché coinvolgono un elettorato da 10% o giù di lì, riguarda la minoranza kurda che ha lanciato un apprezzamento non indifferente al neo nominato Kılıçdaroğlu. Il Partito Democratico dei Popoli (Hdp) annuncia di rinunciare a un proprio candidato alle presidenziali e di appoggiare il leader repubblicano se quest’ultimo visiterà la loro sede. Un passo che l’alevita Kılıçdaroğlu farà o forse no. I kemalisti duri e puri che albergano anche nelle sue fila non solo fra i “Lupi grigi” del Mhp, l’alleato governativo dell’Akp, non apprezzerebbero il gesto. E la coperta elettorale per l’opposizione si fa corta. Nonostante le sanguinanti ferite del cataclisma, l’aria pesante continua a circolare nel Paese e non riguarda solo gli stadi. Quanto accaduto in quello di Bursa, dove la tifoseria del Bursapor, terza serie del campionato calcistico, hanno aggredito i giocatori ospiti dell’Amedspor, la squadra kurda di Diyarbakır, è sintomatico d’una spaccatura difficile da ricomporre con le elezioni.
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