sabato 17 dicembre 2022

Mondiali: non solo nazionale. Il Marocco e gli affari sovrani

 

Metti i denari del Qatar, gli apparati marocchini, la voglia di fare ‘grana’ per sé e famiglia di alcuni ex e attuali deputati europei, lo scudo di Ong di comodo, i grandi eventi che come “le grandi fortune nascondono sempre grandi crimini”, la voce dal sen fuggita dell’uomo del pallone, mister Infantino, che dice: Enjoy the football mentre pensa: E non rompete, e ancora altro di cui parleremo ed ecco che la globalizzazione, data per defunta, appare in tutta la sua vitalità come magnifico cantuccio per intrighi, intrallazzi, supremazie, meschinità, misfatti. Non che il sovranismo ipernazionale sia lontano da tali vizi, anzi. Eppure questo è il mare in cui si nuota, compreso il bel calcio che chi l’ha praticato - pur sui campetti di periferia - può far sempre sognare. Come accade stavolta a chi guadagna la Coppa e a chi sperava di farlo: la formazione in rosso di Regragui, che ha vellicato l’ardore e l’amore di milioni di marocchini e centinaia di milioni di maghrebini, arabi e musulmani, fossero concittadini ed emigrati. Eppure la stessa passione di calciatori e spettatori, fa da contorno a ulteriori affari, non solo i cinque o sei miliardi di dollari di profitto programmati dalla Fifa per la  kermesse qatariota. In queste righe inseguiamo quel che traspare dalle faccende e dai faccendieri della corona di Mohammed VI, immagine da re buono e altruista, il cui operato da decenni cela anche dell’altro, ne siano coscienti o meno i sudditi su cui lavora una macchina informativa connivente col potere. La Direzione Generale per Studi e Documentazione (DGSD) comparsa nell’inchiesta della magistratura belga col suo dominus Yassine Mansouri, compagno di studi, sodale, amico, occhio e orecchio del re nelle operazioni d’informazione, propaganda, lobbying, corruzione e ciò che potranno evidenziare le indagini, aveva pregressi e ulteriori strumenti, tutti mascherati tramite presunte Agenzie di stampa. Agli addetti ai lavori di qualsiasi versante, manipolativo o di giudizio, certe questioni erano note da oltre un decennio. Come i personaggi coinvolti. 

 

Così Maghreb Arabe Presse (MAP) - agenzia stampa dov’era stato direttore dal 2003 al 2009 Yassine Mansouri seguito dallo 007 a lui legato, Mohammed Khabbachi, coi quali sono stati in contatto alcuni degli indagati - serviva non solo a pilotare notizie ma a cercare sponde geopolitiche. Khabbachi, è stato anche animatore del sito paragovernativo online Barlamane. Da quelle pagine è sorto un conflitto con un altro sito marocchino (le Desk) accusato di calunnia. Le Desk rispondeva usando un’accurata documentazione sul passato di Khabbachi definito, non solo dai rivali di polemica, metà spia, metà propagandista, parecchio a suo agio con l’imbroglio mediatico. Eccone il quadro. Sessantasei anni, laurea in Scienze Economiche presso l’università di Rabat, s’avvicinò al MAP nel 1983 come impiegato amministrativo, restando tale per una decina d’anni. Quindi entrò in redazione. Nel 1992 si spostava a Dakar per raccogliere informazioni su Stati centrafricani, nel 2000 divenne capo servizio del MAP e dopo due anni direttore, rimpiazzando Yassine Mansouri che nel frattempo saliva al vertice della DGSD. Nel 2011 MAP incappava in un rapporto della locale Corte dei Conti che valutava l’agenzia priva di “obiettività e indipendenza” (sic), mescolando l’intento statutario di fornire elementi d’informazione interne ed estere a uso e consumo del potere  con una meticolosa propaganda pro regime. Insomma i servizi dell’agenzia venivano meno al ruolo di reale informazione e apparivano espliciti ‘dossieraggi’. Intanto Khabbachi non c’era più. L’anno precedente l’aveva rimosso il re in persona, apparentemente senza motivo. O forse i motivi c’erano. Secondo i rumors dell’epoca aveva superato la misura: s’accreditava addirittura quale confidente di Palazzo e avrebbe potuto creare problemi nelle relazioni della Monarchia con altri Paesi africani. L’uomo, però, serviva e - racconta sempre le Desk - nel 2010 assunse l’incarico di ‘comunicatore’ per il Ministero dell’Interno. 

 

Per agevolare il suo lavoro Khabbachi usava sempre il canale mediatico, creò la Sahara Media Production, trasformata in Sahara Media Agency. La nuova struttura faceva crescere rapidamente i conti attorno a forniture televisive verso terzi e vantaggi fiscali nella regione del Sahara. Per quale fine? Non solo per monitorare il jihadismo crescente nell’area, dalla Mauritania al Mali, ma per riscontri più sostanziosi. La vicenda, ripresa in questa fase coi trolley italo-grechi colmi di denaro, di ottenere un’immagine benevola del Paese maghrebino nella Ue attorno ai diritti umani – non solo quando si bastonano e torturano i manifestanti del movimento Hirak, ma verso l’autodeterminazione rivendicata dalla popolazione Saharawi – è questione antica come il trentennale conflitto col Fronte Polisario. All’epoca in cui gli 007 di Mohammed erano sguinzagliati in nord Africa cercavano sì accordi con chi lucrava sulle vie di stupefacenti e migrazione clandestina, ma volevano difendere uno degli interessi economici maggiori dello Stato: i fosfati presenti nell’ex Sahara spagnolo, di cui Rabat detiene il 70% della produzione mondiale. Non è un caso che l’Office Cherifien des phosphates, l’azienda leader del settore, abbia ottenuto di recente un ulteriore ampliamento della sua capacità estrattiva. L’OCP è un’impresa storica con sede a Casablanca, ventimila dipendenti, un fatturato di sei miliardi di dollari assolutamente in crescita e risulta una società anonima. I cattivi pensieri l’addebitano alla rete parentale del sovrano, come tanti altri affari celati. Per i quali la dinastia usa dai cugini all’Intelligence e, passando per i prestanome anche i ben designati parlamentari europei. O almeno voleva farlo. Quest’ultimi si difendono, difendendo l’onore del carrozzone politico che in trent’anni di storia, al di là della moneta, non ha creato granché. Se non la possibilità d’inciuciare con chi strizza l’occhio al business fra Stati fratelli o in una famiglia allargata che tutto prova ad acquistare, iniziando dalla credulità degli elettori.    

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