C’entra l’individualismo razzista o si tratta di un’ennesima strage pilotata contro la comunità kurda parigina? Fra il timore e la frustrazione stamane attivisti kurdi, sostenuti anche da manifestanti della gauche, si sono scontrati con le forze dell’ordine a ridosso del centro culturale Ahmet-Kaya, diventato la tomba per tre membri del Consiglio democratico kurdo di Francia. Fra le vittime una militante che aveva speso molte energie per risalire ai responsabili dell’assassinio delle tre attiviste, sempre d’un centro culturale kurdo, nel gennaio di dieci anni fa. Come allora la diaspora in Francia non ci sta: non crede all’ipotesi della mano xenofoba dell’ex ferroviere assassino (“un pazzo” l’ha definito l’anziano genitore) che avrebbe agito in solitaria. I kurdi pensano a un utilizzo di elementi simili da parte dell’Intelligence turca, nell’indifferenza dei Servizi francesi. Quest’ultimi se non collusi si mostrano certamente svagati. Perciò sin da ieri, ed egualmente in queste ore, la rabbia si riversa in piazza con scontri, barricate, incendi. Un corteo che da République doveva raggiungere Bastille, è stato disperso sotto i fumi dei lacrimogeni delle squadre antisommossa. Mentre il ministro dell’Interno Darmanin, definisce terrorista l’attacco sanguinario, gli attivisti accusano il Paese ospitante di disattenzione e omertà. Indubbiamente la Francia è percorsa da tempo dal vento xenofobo che soffia sull’intero Vecchio Continente, il suo ceto politico si permette di stupirsi dell’accaduto, come fa Marine Le Pen, storica fomentatrice d’odio verso migranti, rifugiati, stranieri. Inquietante è la tendenza a non creare dissapori nella geopolitica internazionale, cosicché – a detta dei dirigenti kurdi – l’Eliseo non ostacolerebbe possibili operazioni sporche dei Servizi di Ankara sul suo territorio. La misteriosa morte di Omer Güney, l’omicida del terzetto kurdo nel 2013, avvenuta in ospedale a seguito di complicanze di una precedente lesione celebrale, cadde una manciata di mesi dal processo che avrebbe dovuto trattare anche coperture e connivenze di cui godeva l'uomo. Certo, l’anno che giunge sarà per la Turchia erdoğaniana una scadenza già difficile, le doppie elezioni della riconferma potrebbero trasformarsi in una disfatta, perciò aggiungere nuove tensioni con la copiosa minoranza kurda non apparirebbe logico. Ma di logico nell’ultimo decennio vissuto pericolosamente dal premier e poi presidente Erdoğan, c’è ben poco.
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