Vola via Gino Strada, l’uomo che curava anche i talebani. Accade
mentre le nuove leve del fondamentalismo preparano il ritorno a Kabul, le
circostanze della Storia s’incrociano fortuitamente, talvolta fatalmente. Il
fondatore dell’Ong Emergency era in
Afghanistan con due centri chirurgici per vittime di guerra, a Kabul e
Lashkar-gah, dal 1999. Quindi avviò una maternità nella valle del Panshir, più
una rete d’oltre quaranta centri di primo soccorso. Precedentemente, fra il 1989 e il 1994, il
medico chirurgo di Sesto san Giovanni aveva lavorato con la Croce Rossa
internazionale in diversi teatri di conflitto: Pakistan, Afghanistan, Perù,
Etiopia, Somalia, Bosnia. Affermava: “Non
si può umanizzare la guerra, si può solo abolirla”. Perciò i sostenitori
delle ‘missioni di pace’ che vestono la divisa oppure gli abiti borghesi da
deputato, poco lo sopportavano. Perché non le mandava a dire, lui diceva. E
soprattutto faceva. Raccogliendo fondi e creando ospedali, quello che qualsiasi
Esecutivo deliberante e Parlamento finanziatore non hanno fatto, ad esempio, in
vent’anni di “democratizzazione” dell’Afghanistan. Il princìpio che
contraddistingue l’impegno di Emergency
- e di Médecins sans Frontières - sui
contesi territori afghani è curarne i feriti, d’ogni provenienza. In molti casi
costoro non sono schierati con alcun contendente, è gente comune. Per
l’ennesima occasione i dati diffusi negli ultimi giorni dall’Ong italiana ribadiscono
che nei primi mesi dell’anno le proprie strutture ospedaliere in loco hanno
ricoverato 1853 civili colpiti su fronti di battaglia. Il 200% in più d’un
decennio fa, quando il conflitto era all’acme.
Cosa accadrà a questi centri, ora che la cronaca
afghana preannuncia un cambiamento al vertice favorevole agli “studenti
coranici”, non è dato sapere. Seppure aver prestato soccorso e salvato le vite
di tutti, degli stessi miliziani, ha contribuito a diffondere rispetto e
considerazione a quella che risulta una vera azione umanitaria, condotta con
medici e infermieri non con truppe in mimetica. Se fra le ipotesi d’un futuro
che è cronaca quotidiana, la conquista talebana del potere centrale avverrà
senza uno scontro civile, le vittime di guerra potrebbero diminuire. Certo,
seguiranno ben altri problemi riguardo a violenze, vessazioni, torture. Per
quanto si sta osservando in queste ore l’emergenza umanitaria già in atto riguarda
la gigantesca fuga di cittadini. Verso le frontiere pakistana e iraniana e dentro
la stessa nazione in dissoluzione. Dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu si
calcola un’ipotetica migrazione della metà del popolo afghano: diciotto milioni
di persone. Un numero incontenibile per qualsiasi accoglienza. Attiviste di talune
Ong afghane, con cui è in contatto la Onlus italiana Cisda (che sul suo sito dà
indicazioni per una raccolta di fondi a sostegno di quest’emergenza), in queste
giornate drammatiche si danno un gran daffare.
Prestano aiuto al gran numero di sfollati di varie
province riparati nel parco Azadi della capitale. I bisogni primari riguardano
anche il cibo, perché molti nuclei sono fuggiti abbandonando anche quel poco
che possedevano nelle campagne, capre, qualche scorta alimentare. Spesso
restano accampati all’aperto, oppure si riparano sotto tende di fortuna, lasciando
spazio a vecchi e bambini per evitargli il sole cocente delle ore centrali del
giorno. La voce d’una profuga da Herat ricorda che anche in queste fasi disperate
alcuni soccorritori governativi arrivati nella città sul confine occidentale: “parlavano, facevano promesse, scattavano
foto e se e andavano”. Perciò lei è fuggita con la numerosa famiglia prima
che i taliban prendessero la città. Ma la calca di gente in alcuni punti di
Kabul diventa sempre più asfissiante. L’assistenza è assente, c’è solo la buona
volontà di militanti democratici, come il nucleo del partito Hambastagi e
looali Ong. Il presidente Ghani, che a Biden ha richiesto bombardieri e denaro,
forse riceverà i primi e non farà in tempo a incassare il secondo, perché la
sua caduta è una questione di settimane, addirittura di giorni. Chi può fugge,
ma la massa non potrà farlo, anzi è già in atto la sregolata rincorsa per
agguantare l’aereo degli ultimi traslochi a ovest, da parte di chi ha servito
gli occupanti e, dunque, teme per la vita. Chi pensava a un ritiro da Kabul, disonorevole
ma ordinato, dovrà ricredersi. La fuga della presunzione può trasformarsi in
una rotta simile a quella andata in scena nel 1975 a Saigon. I tanti, che
inevitabilmente saranno costretti a restare, potranno solo sperare in nuovi
Gino Strada, poiché purtroppo le guerre non mancheranno. Su ogni fronte c’è chi non vuole abolirle.
Nessun commento:
Posta un commento