Fra le immagini
festanti dei barbuti con giberna pronti a sorridere a ragazzini
ignari e incuriositi e le foto impostate, scattate dentro il Palazzo
presidenziale per un’intervista concessa ad Al
Jazeera, proprio lì dove fino a una manciata d’ore prima si pavoneggiava Ghani
sperando in una clemenza mai arrivata, c’è il realismo della Storia. Che
preannuncia gli eventi anche a chi non vuole vederli, a chi spera di poter
continuare a falsare e barare. Ghani era uno di questi e la pellaccia, per ora,
l’ha messa al sicuro, ma la gente d’Afghanistan d’ogni sponda vaga sbandata.
Coloro che sanno di rischiare per aver collaborato con l’Occidente in
smobilitazione. Coloro che non hanno motivi di rischio, ma non si sa mai,
poiché essere giornalista, fotografo, interprete soprattutto se non disposto a
fare il servitore d’ogni vincitore è un ruolo d’ostica accettazione. Gli
artisti, che non saranno molti, ma fra l’ultima generazione sono aumentati e
che potrebbero non essere graditi al Gotha talebano. E figurarsi il genere
femminile in toto, e le cooperanti locali che si relazionano a quelle d’altri
Paesi, le attiviste dei diritti, quelle come Malalai Joya bollate di
‘comunismo’ dai fondamentalisti della Loya Jirga di Karzai non dai talebani. Tutti,
tutte queste persone che futuro avranno? I turbanti, che all’esordio davanti
alle telecamere, nella Kabul città aperta al proprio orgoglio di vincitori, si mostrano
concilianti, disponibili ad amnistiare, a dimenticare pur di comandare,
vorranno dettar legge secondo i mai negati princìpi della Shari’a. Tutto ciò
destabilizza chi vorrebbe prendere un aereo e non potrà farlo, forse anche chi,
come le attiviste Rawa, che con guerre e i suoi Signori, con le occupazione si
rapportano dagli anni Settanta, hanno giurato a se stesse di vivere in quelle
valli. E i molto più numerosi orientati verso confini per il momento chiusi o ancora
più lontano, dove si sono rifugiati parenti e amici, che potrebbero raggiungerli
solo disponendo d'un bel pugno di dollari. Ma le cronache dicono che da due giorni le
carte elettroniche sono fuori uso, non si ritira più denaro, le due maggiori
banche paiono prosciugate.
Così le
partenze, singole o di gruppo, diventano quasi impossibili, anche
per questo serviranno aiuti umanitari. Ma se dovessero giungere nuovi sostegni,
dopo le centinaia di miliardi scivolati a fiumi per due decenni, finendo sui conti e nelle
tasche dei potentati volati via e di quelli che restano cercando aggiustamenti
coi governanti nuovi, chi disporrà cosa? E’ presto per rispondere. Eppure
queste incertezze hanno sedimentato a lungo, incistate in quel tempo dilatato
dove troppi hanno tirato a campare, pur indegnamente. E non parliamo della
gente lasciata in miseria, abbandonata a un destino sorretto solo dal cuore di
progetti, magari piccoli ma visibili, come gli ospedali di Emergency e Médecins
sans Frontières, le scuole di Afceco, i rifugi per donne di Hawca. Parliamo dei
trecentomila finiti a vestire la divisa dell’esercito perché la famiglia
potesse mangiare. Dei contadini pronti a coltivare il papavero da oppio per il
medesimo motivo, di chi poteva spacciare solo carbone e miseri stracci per via,
di chi strappava un salario al servizio delle bande presenti nei governi voluti
dall’Occidente. In un sedicente Stato fallito, dove ciascuno arrangiava
l’esistenza chiudendo gli occhi coinvolto nella corruzione, da spettatore o da
attore. Per una sopravvivenza strascinata senza dignità, seguendo il modello che
doveva rappresentare l’alternativa al fondamentalismo talebano del quinquennio
1996-2001. Tutto ciò ha rappresentato finzione e ignavia. Al più un sogno, che
mese dopo mese, da troppi anni aveva il sapore del bluff. Poggiano su
questo lo straniamento, la paura, il non senso d’una vita senza valori, dove
solo i più illuminati, anzi le più visionarie e coraggiose, le donne delle Ong
incontrate in certe situazioni complicate, hanno indicato concretamente una via
alternativa. Non eserciti preconfezionati e liquefatti, anche perché tenuti a
mezzo servizio fra padrini e tutori, non pianificazioni che non hanno seguito,
ma la ricerca d’una comunità improntata sul senso di giustizia sociale può
offrire fiducia a un popolo rassegnato e impaurito.
I nemici dell'Occidente hanno preso coscienza della sua vulnerabilità.
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