Torna talebana Kabul, prima di quanto ci si
aspettasse. In un giorno e una notte, con la presa di Mazar-i Sharif a nord e
Jalalabad a est, tutti ma proprio tutti i collegamenti per entrare e uscire dal
Paese sono controllati dagli studenti coranici. L’ingresso nella capitale è un
gioco da ragazzi: la via s’è spalancata senza premere alcun grilletto perché
prima dell’Afghan Security Forces, da settimane in totale dissolvimento, s’è
dissolto l’ectoplasma statale. I turbanti non incontreranno Ashraf Ghani
neppure da stravincitori, l’uomo della Banca Mondiale, a scanso d’equivoci, ha
trattato per interposta persona la sua partenza ed è riparato in Tajikistan. Ha
investito il ministro della difesa Bismillah Mohammadi di trattare con le
milizie dei guerriglieri che dilagano in una città caotica e attonita. Tramite
i propri portavoce l’orientamento dei nuovi padroni è conciliante. Chiedono
alla cittadinanza che vuole restare di registrarsi presso postazioni che stanno
predisponendo. Promettono di non praticare vendette verso i militari arresi,
molti dei quali già da settimane hanno consegnato loro armi e mezzi. Sostengono
che la popolazione che vorrà lasciare il Paese è libera di farlo, pure coloro
che hanno collaborato con la precedente amministrazione e con le truppe Nato. Non
spiegano come un flusso, che già ha visto mezzo milione di sfollati
concentrarsi in alcuni punti della capitale e che potrebbe diventare ancora più
copioso, potrà muoversi e per dove.
Insomma il meditativo e
conciliante
Akhundzada, il diplomatico Baradar, il militare Yaqoob - che hanno pazientemente
tessuto trattative, attacchi e lusinghe a chi vedeva l’orizzonte ormai riempito
dai vessilli d’un nuovo Emirato - hanno avuto la meglio sui tentativi di difesa
governativi. Anche quelli della disperazione che cooptavano nuovi e vecchi combattenti.
Miliziette d’accatto in certe periferie, Nangarhar e altrove, o quelle d’un
Dostum prima fuggitivo dalla sua Sheberghan quindi a Kabul e Mazar-i Sharif per
poi sparire nel nulla, mentre Khan che appare in alcune foto circondato da
taliban sembra già un trofeo di guerra. Trofeo imbalsamato, non solo per la
veneranda età, di un’ultima guerra non combattuta, visto che né militari di provincia
e miliziani warlords né studenti coranici hanno voglia di spararsi addosso. A
quest’ultimi non sembra vero che l’accelerazione delle ultime ore gli consegni
la capitale, dovranno certamente dibattere su quale governo mettere in piedi,
se di coalizione coi cascami di nome Mohammadi, Abdullah, Saleh in condizione
subordinata. O se proclamare subito l’Emirato, che vecchi fondamentalisti
come appunto Khan e Mohaqqiq, Hekmatyar sposeranno senza riserve, anche per
garantirsi scampoli di manovra. Forse per non spiazzare l’anticipata presa del
potere l’ipotesi della coalizione, direttamente e strettamente controllata, può
rassicurare i molti che comunque se ne vanno, gran parte delle ambasciate
occidentali tutte prese nell’affanno del trasloco, e chi invece resta. Fra
costoro i russi che coi talebani hanno discusso quanto gli americani, nella
trattativa parallela di Mosca cui hanno preso parte altri grandi: Cina, India,
Iran, Pakistan. Le ultime due nazioni si preoccupano soprattutto dei flussi
migratori che inevitabilmente li investiranno. Pechino cerca dai talebani
rassicurazioni per la propria attività mercantile. La Russia osserva sorniona.
La partita del nuovo Afghanistan è iniziata, un mese prima dell’11 settembre.
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