Karim parla fra gli
altri afghani,
in genere uomini, che si sono riuniti stamane in un angolo della romana piazza
Esedra. Un centinaio fra singoli e famiglie della comunità afghana della
capitale che hanno un punto di ritrovo nel quartiere popolare di Torpignattara.
L’assemblea è un momento simbolico, volto a spezzare l’immobilismo e lo stesso
individualismo che caratterizza la difficile esistenza del rifugiato o
dell’immigrato. Il disprezzo per la riconquista talebana è totale, il desiderio
di aiutare i compatrioti è ampio. Seppure accompagnato da una sostanziale
impotenza: perché al di là di futuri ‘corridoi umanitari’ essi stessi
contingentati, chi oggi trova posto sui voli predisposti dal Ministero degli
Esteri e della Difesa italiani, sono i beneficiari d’un lasciapassare concesso
solo a chi ha lavorato con le strutture occidentali. La motivazione è
esplicita: costoro e i familiari rischiano ritorsioni, si dice già iniziate. Ma
gli altri? A chi vorrebbe andar via dal nuovo regime e non può farlo in aereo,
restano ancora una volta, come trenta e venti anni or sono, le fughe della speranza
simili a quella narrato da Ali Eshani, un ex bambino e poi giovane che la sua
vicenda, un viaggio durato tre anni, attraverso Iran, Turchia, Grecia nel cui
mare ha perduto il fratello maggiore, l’ha narrata in un libro di successo: Stasera guardiamo le stelle, Feltrinelli.
Eccolo il tema dei profughi afghani che in Occidente giungono dai tempi della
terribile guerra civile dei primi anni Novanta. Cercare soluzioni individuali:
uno su mille ce la fa, come indica la rotta balcanica degli ultimi tempi e chi
la segue dappresso come l’associazione Linea
d’Ombra di Trieste, che s’è trovata perseguitata dalle leggi vigenti. Gli
attivisti Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, sono accusati di ospitare
clandestini. Lì dove gli afghani sono più numerosi: in Francia, di cui l’Office Français de protection des rèfugiés
et apatrides offre dati che li indicano quale maggiore comunità
beneficiaria di diritto d’asilo (oltre 33.000 presenze), mentre problemi di
sistemazione logistica e lavorativa si risolvono pure, quelli sul futuro
dell’agognato Paese restano marchiati dal passato.
Unificare, anche solo
nel pensiero,
gli afghani di Francia appare difficile, racconta un reportage apparso su Le Monde. Pashtun, hazara, uzbeki,
tajiki se non si guardano in cagnesco anche all’estero, certo non s’aiutano. “E’ anche peggio che laggiù. Perché in terra
afghana, vivendo nella propria comunità, dovevamo andare d’accordo per proseguire.
Qui si fanno vite separate. Se vi recate in un’associazione tajika vedrete
l’immagine di Massud (ex signore della guerra venerato come un eroe da
quell’etnìa). Così presso gli hazara…
Dividerci per regnare è il progetto talebano, ben riuscito nel loro scopo”.
Del resto l’ipotetica situazione d’una resistenza nel Panshir - col figlio
dell’ex combattente detto leone, che accorpa anche rottami dello Stato
fantoccio crollato, nella persona del vicepresidente Saleh, ex responsabile
dell’Intelligence e responsabile di trattamenti nient’affatto benevoli per i
prigionieri talebani e non - potrebbe far rientrare da certe finestre soluzioni
di guerra civile che gli accordi di “pacificazione” volevano escludere. Quanto
poi a firmarli coi taliban è frutto del cinismo geopolitico, ma questo è
accaduto. Ed è su questa cruda realtà che sogno di Karim rischia d’infrangersi.
Lui sostiene che “La strada per essere un
popolo non è intrapresa da decenni. C’è stata un’opposizione dei mujaheddin
all’invasione russa, una talebana a quella della Nato. C’è stato un conflitto
fra i signori della guerra e un primo regime taliban, nessuno era interessato a
dare una dimensione comune alla popolazione. Né l’hanno fatto i governi degli
ultimi vent’anni. Il popolo ha subìto questi disegni, ha pagato con la vita e
la fuga certe imposizioni. Vivo in Italia da alcuni anni, ma sogno una nazione
unita e pacificata dove vorrei tornare e come me tanti rifugiati. Dovremmo
avere a disposizione le risorse, che esistono nel nostro Paese tantoché vengono
sfruttate da altri, dovremmo poter gestire una rinascita che solo noi uomini e
donne dell’Afghanistan potremo realizzare. Certo senza i taliban e il ceto
politico che ci ha ridotti alla miseria. Spero nei ritorni, non nelle fughe dal
nostro Paese”.
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