In vista lo è
sicuramente e
non da oggi che riceve l’attenzione di testate occidentali (cfr. La Repubblica - La donna che voleva essere presidente). Shukria Barakzai porta un
cognome importante, da casato che ha governato l’Afghanistan per un secolo e
mezzo (1823-1973). Nella storia del Paese quella degli avi è la dinastia che
successe a quella Durrani. Lei 51 anni, con un nonno paterno inquadrato fra i
capi del gruppo etnico dall’altisonante nome e il nonno materno senatore
all’epoca del re Zahir Khan ha studiato all’università a Kabul, senza poterla
terminare. Era l’epoca della guerra per bande dei Signori della guerra, poi arrivò
la “pacificazione” taliban e molta borghesia afghana riparò all’estero. Espulsi
i militanti coranici dall’Enduring
Freedom di Bush, Shukria pensò fosse l’occasione buona per inserirsi in
politica, una carriera che paga ovunque nel mondo. Del resto i princìpi del
rilancio della nazione secondo valori democratici costituiva il mantra delle
Forze Nato e dei nascenti governi locali. Nel 2003 fu nominata nmembro della Loya Jirga, la grande assemblea del
popolo afghano. In quell’assise voleva sostenere i diritti delle donne, come
Malalai Joya che in un intervento diretto contro i fondamentalisti lì presenti
guadagnò l’espulsione, accanto agli insulti di “comunista” e a varie minacce di
morte. In seguito Barakzai ha sostenuto d’averla difesa, impresa peraltro
improba e pericolosa. Ma l’anno seguente alle elezioni politiche Shukria c’è e
viene eletta nella Wolesi Jirga,
mentre Malalai doveva nascondersi per evitare attentati. Non da parte talebana
(che comunque non avrebbe sopportato le accuse dell’attivista Joya) ma di certi
deputati che Barakzai si ritrovò accanto sugli scranni nel Parlamento formato
sotto il primo governo Karzai. Che la deputata faccia della questione femminile
uno dei punti del suo impegno politico è visibile nei suoi interventi, quanto
tutto ciò sia stato recepito in quasi due decenni di presenza legislativa è,
purtroppo, un’altra storia.
Certo, 71 donne su 249 deputati costituiscono una netta minoranza, ma è su questa presenza, involontariamente o meno, ininfluente che ha viaggiato in questi anni la vulgata della trasformazione dell’Afghanistan. Si ripeteva sino alla nausea che, grazie all’intervento Nato, l’Afganistan rinasceva in tutto, anche riguardo ai diritti femminili. Purtroppo una legge del 2007 contro la violenza sulle donne non ha mai ricevuto – per volontà di Karzai e del fronte fondamentalista interno – il decreto attuativo. Cosicché ben pochi processi per omicidio, stupro, violenze di genere sono stati celebrati, cosa che in questi anni la stampa mainstream, e l’Italia s’era distinta, non ha raccontato. Eppure chi in quel Paese (e torniamo alle Malalai Joya, alle militanti Rawa) questa linea la persegue con coraggio e caparbietà, divulgava simili spiacevoli realtà. Insomma certe deputate degli esecutivi Karzai e Ghani, volenti o nolenti, hanno rappresentato la maschera per forme brutali rimaste inalterate. Barakzai sempre molto attiva, molto presente, ha ricevuto altri incarichi, è stata ambasciatrice in Afghanistan per la Norvegia. Sicuramente è odiata dal fondamentalismo che nel 2014 l’ha ferita in un attacco a un convoglio sul quale viaggiava. Ma Shukria ha proseguito i suoi impegni. Anche perché nella vita pubblica e in quella privata aveva creato solidi legami con gli affari. Il marito, Abdul Ghafar Daw, dopo il suo ingresso in politica era diventato uno dei dirigenti di Kabul Bank, prima banca privata del Paese. Nel 2011 l’istituto è in bancarotta. Vengono a galla i favori compiuti dalla banca a politici e mafiosi locali con tanto di ammanchi per centinaia di milioni di dollari. A sostenere ruberie e accaparramenti personali verso Mahmood Karzai, uno dei fratelli del presidente Hamid, e del vice presidente nonché signore della guerra Fahim, c’erano il responsabile di Kabul Bank, tal Farnood e alcuni dirigenti, fra cui Daw, mister Barakzai. Lunghi processi, promesse di perseguire i responsabili, alcuni arrestati e poi, alla maniera occidentale, rilasciati, altri riparati all’estero e mai perseguiti. Appena nominato il neo presidente Ghani fece della punizione dei colpevoli una questione d’onore, presto smarrito per via. Prima di quello scandalo la chiacchierata coppia Shukria-Abdul aveva ottenuto altri favori in fatto di rifornimento di carburante agli aeroporti del Paese. Nel caos di questi giorni, davanti allo spettro d’un governo talebano aperto ai potentati degli ultimi vent’anni, una domanda si può rivolgere alla deputata finora bloccata all’aeroporto: per chi e per cosa Barakzai si era candidata alla presidenza del Paese?
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