Che quella folla ammassata,
esausta, picchiata dai taliban, selezionata dai militari statunitensi, aiutata
secondo l’appartenenza, illusa da chi non può condurla altrove potesse
diventare carne da macello lo si diceva da giorni. Le Intelligence, quella
americana su tutte, lo ripetevano. E si tirava in ballo anche chi potesse
essere l’esecutore dell’attacco, l’Isil del Khorasan, che per due anni aveva
guerreggiato indirettamente coi talebani ortodossi, vogliosi di accordi e di
potere. Guerreggiato per il controllo dei luoghi, col desiderio di mostrare la
propria capacità armata, seminando morte fra la gente. Studentesse, neonati,
donne, etnìa hazara coloro che più d’altri sono stati colpiti per impaurire,
mostrare come la terra afghana e la sua gente dovessero continuare a soffrire senza
vedere pacificazione alcuna. Neppure quella affannosa sotto l’occhio degli
studenti coranici, negli ultimi tempi diventati diplomatici. Nell’odierno pomeriggio
l’Abbey Gate e il circondario presso il Baron Hotel sono stati teatro di due esplosioni
mortali: tredici i morti, oltre sessanta i feriti. Per ora. Perché tragicamente, come in
altre occasioni, le vittime possono aumentare. E diventano dopo due ore oltre sessanta con duecento feriti. I medici dell’ospedale di Emergency della capitale, lavorano per
salvare vite. Carneficina compiuta tramite due kamikaze che nella calca
presente da giorni per la fuga diffusa, sperata, irrealizzabile si sono potuti
inserire e “immolare” portandosi dietro l’anima anche di bambini – non è la prima volta – e
diffondere un’angoscia ancor più profonda. Fra gli stessi marines di puttuglia allo scalo Karzai, visto che il Pentagono ha comunicato l'uccisione anche di quattro poi dodici militari Usa. Naturalmente il panico è alle
stelle, fra chi cerca amici e parenti spersi, chi teme nuove esplosioni, chi si
pone davanti al dilemma se restare lì ad attendere un ipotetico aereo e
rischiare di saltare per aria. Questa è l’odierna Kabul: il teatro d’un dramma
sedimentato in decenni, con le incognite viste nell’ultimo biennio, fra chi ancora
nel sangue si lava le mani volendo dimenticare il passato e le responsabilità,
chi cerca un potere che resta instabile e gli irriducibili del jihad su cui
vigila la galassia del più cupo fondamentalismo, tutt’altro che sconfitto. Il
nuovo assetto che deve occuparsi del futuro immediato – i potenti russi,
cinesi, indiani – si terranno alla larga dalla sanguinaria macelleria di queste
ore. Restano i disperati della fuga, alla quale neppure i talebani possono
garantire la vita. E non perché gliela stiano tranciando con le loro armi…
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