Sussurra bin Salman, ai dignitari che finora l’hanno ospitato nel
Bahrein, ad Abu Dhabi e Il Cairo. Gli Stati della reazione con cui il principe
in odore di omicidi stringe sempre più buone relazioni non tanto commerciali,
ma geopolitiche. Quelle che l’amministrazione della Casa Bianca ha ratificato
nel Medio Oriente che si contrappone alla mezzaluna sciita. Con lo sceicco
Khalifa bin Zayed e il generale Sisi la sintonia repressiva è assoluta, anche
quando prende la via totalmente extralegale di sparizioni sanguinarie. Mbs non
s’è scrollato di dosso l’odore del sangue del giornalista nemico Jamal
Khashoggi, sul cui omicidio e sulla cui sparizione del cadavere ha
responsabilità dirette, ma già cerca di riproporsi al mondo come se niente
fosse accaduto. L’attuale tour in alcuni Paesi arabi del Golfo e del
Mediterraneo dovrebbe portarlo a fine mese anche al G20 in programma in
Argentina, coi grandi della terra che s’occupano di dominio economico e
strategico-militare. Bin Salman è pronto a fare la sua parte, a ogni costo.
Dopo gli abbracci ricevuti fra monarchi e presidenti dittatori l’arrivo
a Tunisi in programma per il pomeriggio di oggi può produrre qualche pensiero
alla popolarità del sovrano in pectore, visto che già l’immagine è in caduta
libera per tutti gli intrighi legati al crimine relativo all’opinionista del Washington Post smembrato e liquefatto
nell’acido. Giovani tunisini già da ieri hanno protestato per le vie della
capitale contestando l’arrivo di un ospite da loro totalmente indesiderato. Non
è di questo parere il vecchio presidente Essebsi, propenso alle aperture che la
comunità internazionale continua a riservare al discusso saudita, che gli proporrà
fra l’altro esercitazioni militari congiunte. Attivisti dei diritti
sottolineano la scia repressiva di cui si rende protagonista la maggiore
petromonarchia del Golfo sia nella propria società, sia con ingerenze in
nazioni confinanti come lo Yemen, dove porta guerra e favorisce la persecuzione dell’etnìa
Houthi prendendola per fame.
L’infamia di bloccare gli aiuti umanitari verso questa popolazione è
praticata da oltre un anno. Da parte loro attivisti politici tunisini non
dimenticano i favori che i Saud hanno riservato all’autocrate Ben Ali, riparato
nel Golfo con tutto il clan familiare e trascinadosi i capitali sottratti alla
nazione. Sono passati otto anni e il dittatore di Tunisi, responsabile del
massacro di centinaia di manifestanti in quei cortei che nel dicembre 2010
diedero avvìo alle primavere arabe, non è stato estradato. Aiutato e coperto da
un regime che fa del sopruso, della coercizione, dell’intrigo, dell’assassinio
di Stato un progetto per il presente e il futuro, seppure mascherato con
presunte modernizzazioni. I tunisini s’indignano, vedremo se l’eco giungerà in
Argentina e rimbomberà altrove. Un’attivista afferma che bin Salman dovrebbe
essere inseguito, ovunque si rechi, dal disgusto e dalla rabbia dei cittadini
del mondo. Non è il solo, ma è bene non tralasciare e soffocare con le grida i
suoi sussurri.
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