Domenica di fuoco nella Striscia di Gaza, dove le forze speciali
dell’Idf intervengono da terra e dal cielo, uccidono sette palestinesi, fra cui
Nour Barakeh, comandante delle Brigate al Qassam di Hamas, perdono nell’assalto
un loro ufficiale e coprono la ritirata oltre il confine, ormai insanguinato da
mesi, con un’aviazione che distrugge abitazioni e amplia il panico fra gli
abitanti. Il ritorno al passato delle esecuzioni mirate non è un cambio di
rotta. Tel Aviv, col consenso della politica aggressiva di Trump verso i
palestinesi mostrata con l’appoggio all’ipotesi di Gerusalemme capitale
israeliana, ripresenta tutta la consolidata linea di sopraffazione: fucilazioni
lungo il confine, bombardamenti indiscriminati sulla popolazione, rilancio dell’assassinio
di personalità pubbliche sul fronte avverso. Al bastone si ripropone la carota
e la vicenda viene trattata con dovizia di particolari sulla stampa locale.
Yedioth Ahronoth, il quotidiano più
diffuso fra gli israeliani, offre ampio risalto alla nota, già trattata da
altri media, dei fondi che il Qatar ha previsto per dare conforto a due
tipologie di famiglie della Striscia. Le oltre cinquantamila che risultano in
condizione d’indigenza e i nuclei che contano feriti su quello che è diventato
un vero fronte, il confine con Israele, a seguito della marcia per il ritorno
lanciata dal 30 marzo. Le conseguenti manifestazioni, soprattutto dopo la
preghiera del venerdì, hanno costellato le cronache di questi mesi con
centinaia di morti e migliaia di feriti fra la popolazione gazawi. L’emirato
qatarino prevede di distribuire 100 dollari per ciascuna di queste famiglie. Il
governo israeliano finora ha congelato l’operazione, ma adesso si registra una diversità d’opinione fra il premier
Netanyahu (favorevole) e il ministro degli Esteri (Lieberman) assolutamente
contrario. Le posizioni dei due sembrano irrinunciabili, e probabilmente vanno
oltre la vicenda in sé.
Introducono una competizione fra i due leader,
nell’ipotesi che il fondatore di Israel Beitenu, il partito dell’ultradestra
sionista su cui si regge il governo, possa definitivamente fare ombra al capo
del Likud, proponendosi come futuro primo ministro. Concorrenza a parte, il
patto fra i falchi Bibi e Avigdor sviluppato sul terreno dell’intransigenza,
prevede sempre eccessi militari, legislativi, sociali. Può, però, incrociare
tattiche differenti frutto non d’una visione ideologica, peraltro comune, ma
d’interpretazione utilitaristica degli eventi. Ora il denaro che il Qatar offre
di far giungere nella travagliata Striscia, secondo certa stampa israeliana,
servirà anche a coprire un congruo anticipo di quegli stipendi che Hamas non
riesce a elargire ai dipendenti delle strutture burocratiche di Gaza. Ne
scaturirebbe un tacito accordo con Hamas per una tranquillità socio-politica.
Vera o falsa che sia la notizia può non incidere più di tanto sulle turbolenze,
sia per la presenza d’un terzo incomodo pur minoritario (Jihad islamica), sia
perché tanta gioventù si muove da sola. E anche perché con l’attacco di ieri,
la stessa Hamas è sotto tiro.
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