Nel momento in cui l’ennesima ora x sembra incombere
sulla crisi siriana, le mappe di quel territorio periodicamente aggiornate dai
media, secondo le indicazioni fornite dagli osservatori militari
internazionali, mostrano una situazione tuttora frastagliata. Sono quattro le
componenti interne che lo controllano: governativi, ribelli siriani e turchi,
cosiddetti ribelli siriani cioè le forze restanti del Daesh, Unità di
protezione del popolo kurde. Paradossalmente quest’ultime, abbandonate da
ciascun alleato tattico del biennio passato, e invise un po’ a tutti,
controllano la parte maggiore di quelle aree divise: tutta la parte nord (a
eccezione di Afrin di recente invasa da turchi ed Esercito siriano libero) e l’est.
Giorni addietro coloro che paiono i vincitori di questa guerra infinita
(Russia, Iran) più la Turchia, pianificavano ad Ankara interessi e
giurisdizione di ciascuno, pur in un conflitto in corso che continua a proporre
colpi di coda. L’uscita di Trump che minaccia attacchi punitivi a Damasco, dopo
aver ribadito il disinteresse per quell’area, riconduce l’ulteriore dramma che
si somma a quello specifico di vite sacrificate dall’anno 2011. L’uso delle
vicende siriane per interessi personali, geopolitici, strategico-militari che
alcuni potenti del mondo e potentati regionali rilanciano senza sosta.
Lanciare missili Tomahawk sulle basi siriane colpevoli o meno di
uso di gas sui civili, è l’azione da minacciare o mostrare all’opinione
pubblica americana e planetaria per evidenziare un ego zeppo di pecche, quelle
note e quelle aggiunte e presumibilmente legate alla sua stessa elezione.
Certo, non tutto può essere arma di distrazione di massa, ma non è sicuramente
il presidente del Paese che pratica l’Imperialismo con la maiuscola a difendere
le vite dei civili, in Siria e altrove. Quelle vite disprezzate, assediate,
stroncate da gran parte dei diversi contendenti è l’unica certezza, nel
dipanarsi di reiterati misteri. Chi usa i gas? Lealisti, jihadisti, entrambi?
Le dichiarazioni di ognuno negano, smentiscono. I volti dei soffocati sono
terribilmente visibili, non solo in immagini che non possono esser tacciate di
finzione, come in questi anni non sono state finzioni ammazzamenti, torture
inflitti non solo a nemici. Bashar Asad può anche fregiarsi dell’affetto di
quei siriani che continuano a sostenerlo, ma non dovrebbe chiudere gli occhi di
fronte alla tragedia dell’intero popolo che continua a morire. Muore per le
atrocità dei jihadisti e anche per mano dei lealisti a lui fedeli, sia in
divisa dell’esercito, sia strutturati nelle unità paramilitari, i famigerati šabbīḥa sui cui sanguinari interventi
molti testimoni discorrevano ben prima di questo conflitto.
Erano interventi contro la popolazione sunnita, che si dichiarava
discriminata dal regime degli Asad, non solo con le proteste dei primi mesi del
2011, ma con rivolte antiche, come quella di Ḥamā repressa nel sangue da Hafiz
nei primi anni Ottanta. Storie sedimentate, su questioni irrisolte, trascinate
nei decenni con enormi contraddizioni che una volta riemerse, sono state
sfruttate e strumentalizzate da varie figure politiche, cui è stata armata la
mano dagli stessi personaggi che, come Erdoğan e Trump, si ergono a risolutori di
problemi o vendicatori dell’ultim’ora. Più del meschino comportamento
dell’attuale presidente siriano, che potrebbe fare il bel gesto lasciare il
Paese che anch’egli contribuisce a distruggere, compiendo un passo autolesionista
per gli interessi di clan ma generoso per la salvezza di quei siriani ancora in
vita, appare cinico il calcolo di Putin e Rohani che lo tengono sul piedistallo
per trarne vantaggi diretti. Tutto secondo il codice geopolitico: basi militari
e avamposti per strategie, ahinoi, prevalenti anche su altri fronti. Ma questa
geopolitica ci potrebbe risparmiare pseudo motivazioni di salvaguardia verso lo
status quo minacciato da terrorismi e fondamentalismi. Il suo fondamentalismo
militarista uccide da anni su quella terra e altrove. La guerra non sarà
atomica ma è atomizzata nei mille rivoli insanguinati dell’industria bellica di
cui si nutrono le attuali civiltà.
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