L’inferno della Striscia è fumo nero e gas dentro cui fischiano i
proiettili. Chi manifesta per un ritorno che è a rischio morte lo fa con la
coscienza che noi crediamo disperazione. Ma chi vive in quella prigione che Tsahal
trasforma in cimitero sta solo ricercando la vita. Il mondo non vuol
comprendere, non vuol saperne di diritti palestinesi tant’è che a mala pena ne
parla e ne parla perché riporta notizie di vittime. Ieri nove. Però lo fa con
sufficienza, per cronaca, ripetendo che Israele aveva ribadito le sue regole
d’ingaggio. Le quali, già dal precedente venerdì, sancivano l’assassinio. Non
era servita una settimana perché i potenti del mondo e del Medio Oriente
facessero qualcosa, pronunciassero una nota di sdegno. L’aveva fatto Erdoğan ma
per sé, innescando un battibecco con Netanyahu che non mutava niente su quei
confini dove la protesta ieri ha ampliato i numeri e Israele ha ripreso a
colpire bersagli umani. Alcuni ben scelti dai cecchini. Yasser Murtaja era uno
di questi. Lavorava per l’agenzia locale Ain
Media producendo foto e video.
E’ stato individuato con cura dal killer in divisa con la stella
di David. Portava ben visibile la dicitura press. Era, dunque, uno di quei
testimoni che i criminali su tutti i fronti odiano: i giornalisti. Coloro che possono
testimoniare, possono narrare con parole e immagini gli scempi compiuti per
‘ordine’ e per ‘dovere’. Categorie disumane in certi scenari, dove chi si
fronteggia risultano soggetti ben diversi: soldati armati contro cittadini
inermi. Ieri ancora una volta questa era la scena sul confine fra la Striscia e
Israele, su quella terra che bande armate sioniste costituitesi in esercito
strapparono a un popolo che le abitava da secoli. Quel 15 maggio 1948 ricordato
da Israele come nascita del proprio Stato e come Catastrofe dalla gente di
Palestina costretta alla perdita di familiari, case, terra e alla fuga, è da
settant’anni materia di contesa ed è motivo della protesta di queste settimane.
Il mondo non capisce, è stanco di capire, non ha mai compreso o non vuol comprendere
il dramma di persone costrette da quattro e più generazioni a vivere da
profughi.
Israele prosegue a raccogliere nel suo Stato gli ebrei
di lontane provenienze, accasati in altre nazioni rivendicando un diritto al
ritorno su quella terra. Lo stesso diritto che nega ai palestinesi e che viene richiesto
dai manifestanti di cui Hamas si fa portavoce. Queste premesse vengono taciute
da gran parte dell’informazione. Molti media citano, e come potrebbero non
farlo, i morti di queste ore ma vagano sui motivi. Spesso accolgono le veline
della propaganda di Netanyahu e rilanciano il refrain del pericolo terrorista
insito nei piani di Hamas. In queste ore a fare da bersaglio alla smania
stragista di Israele c’è la gente oppressa di Gaza. Migliaia di giovani,
certamente rabbiosi, nel vedere il proprio sangue spargersi sull’agognata
terra. Quella terra, quella libertà di viverla Israele stragista e il mondo
immobile le negano a una popolazione cosciente e coraggiosa che reclama un
futuro e rischia la vita per averlo.
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