Non si sa se diverranno una ripetizione anche
più estesa e violenta delle proteste scoppiate a fine 2017, comunque gruppi di
iraniani sono tornati in strada, stavolta prevalentemente nelle aree di confine
con l’Azerbaijan, più i soliti nuclei studenteschi attivi nell’università di
Teheran. Hanno sfilato in maniera creativa a piedi, su moto e automobili, hanno
urlato e inveito. Hanno appiccato incendi, hanno subìto la repressione dei
reparti antisommossa che hanno anche sparato. In due giorni si sono registrati
ventidue morti (l’afferma Al Jazeera,
mentre i media iraniani tacciono) e oltre cinquecento arresti. Roba non da
poco. Ali Khamenei, intervenendo davanti a gruppi di fedelissimi, ha nuovamente
accusato nazioni straniere e nemiche intente a organizzare sommosse per
attaccare non solo il legittimo governo, ma la sicurezza della nazione e della
stessa popolazione. Eppure una fetta, neanche esigua, di popolazione sfugge
alle indicazioni della Guida Suprema, come il movimento delle donne che da mesi
contesta l’obbligatorietà del velo. Costoro, in maniera organizzata o con
iniziative singole, salgono su qualsiasi rialzo, fosse anche un gradone
incontrato per via, ed espongono il proprio hijab lontano dalla capigliatura,
in palese gesto di sfida.
Il braccio di ferro con l’Istituzione è aperto. Però quando
alcuni reparti della polizia che s’occupa della morale dei cittadini
intervengono con decisione e violenza, com’è accaduto nei giorni scorsi a una
giovane redarguita in un parco pubblico non tanto perché priva del velo ma
perché giudicata una ‘mal velata’ con abiti sgargianti, ne è nato un parapiglia
diventato un boomerang per il regime. Un’amica della “mal velata” registrando e
postando su Istagram le immagini
dell’aggressione ha innescato l’ennesima rabbia contro la repressione
dell’abbigliamento. C’è stato uno scossone interno: la vicepresidente degli
affari femminili Ebtekar ha condannato il feroce comportamento dei membri del
gruppo di vigilanza ed è scattata un’indagine. Accanto a simili questioni,
sempre vive poiché riguardano la liberalizzazione dei costumi e princìpi di autodeterminazione
di genere, riemerge il malcontento attorno a problemi economici che hanno condotto
il governo a introdurre nuove tasse, mentre l’inflazione sale, la
disoccupazione pure e taluni strati sociali impoveriscono in maniera non
sopportabile. Il governo si giustifica con quella forma di embargo strisciante
che, nonostante l’accordo sul nucleare di due anni or sono, conduce molti
istituti finanziari a rifiutare investimenti in Iran.
L’amministrazione Trump non ha fatto altro che incentivare gli
ostacoli, palesando l’intenzione di rimettere in discussione l’intero accordo.
Il quadro internazionale con la crisi siriana incrementa l’irrigidimento delle
parti, ma il governo di Teheran enormemente impegnato in quella e altre aree
mediorientali (Yemen e Libano) vede parte del suo popolo contrariato e
contrario alle enormi spese militari per mantenere quei fronti, mentre in casa
c’è chi tira la cinghia e chi si ritrova senza risorse anche per beni primari.
Soffiando su questi fuochi accesi, l’ala conservatrice vicina al chierico Raisi
e oppositrice del presidente riconfermato Rohani, aveva dato il via, oppure
s’era inserita, nelle contestazioni di dicembre, scoppiate non a caso a Meshab,
città fedelissima dell’est e serbatoio elettorale di Raisi. In quelle settimane
si parlò anche di azioni mosse da sostenitori di Ahmadinejad che venne sottoposto
ad arresti domiciliari. Durante l’inverno gli eventi esteri hanno preso il
sopravvento, ma non essendosi sciolto nessuno dei nodi economici citati, anzi
diventando col passare del tempo ancor più scottanti le contraddizioni riemergono.
Certo, ciascuno fa il proprio gioco, e gli interventi di Nikky Haley a commento
degli ultimi eventi iraniani, fa rilanciare al vecchio Khamenei il refrain
della minaccia alla sicurezza nazionale. Tema cui tutti gli iraniani sono
sensibili, ma anche il malcontento può fare la sua parte.
Nessun commento:
Posta un commento