mercoledì 14 maggio 2014

Kemal, sotto terra a quindici anni


Fra le 274 vittime accertate della miniera di Soma nella provincia di Manisa, col rischio che il doloroso conteggio salga ancora per il centinaio e passa di uomini tuttora intrappolati, c’è anche il mistero d’un morto minorenne. E’ - anzi purtroppo era - Kemal Yıldız di quindici anni. Suo zio portato davanti ai microfoni televisivi nella penombra della sera ha laconicamente detto di non aver nulla da dichiarare. Un gesto di riserbo che cela anche una triste verità: la necessità familiare di ricorrere al lavoro d’un ragazzo. Più imbarazzato il responsabile del dicastero dell’Energia, che per i giochi del destino porta lo stesso cognome. Taner Yıldız, il ministro, s’è affrettato a definire “impossibile” la presenza in miniera d’un minorenne e il leader del sindacato minatori gli ha fatto eco sostenendo che loro non hanno un iscritto con questo nome. Cauto il ministro del Lavoro Çelik che insinua il beneficio del dubbio, cosciente comunque che in caso di conferma dell’età anagrafica le già ampie polemiche si allargheranno. La magistratura ha avviato l’inchiesta per stabilire le responsabilità del disastro ormai di proporzioni gigantesche.

Al lutto nazionale di tre giorni annunciato da Erdoğan s’accompagnano proteste già esplose in alcune piazze, spontaneamente o dirette dall’Unione dei lavoratori delle miniere che aderisce all’Unione rivoluzionaria dei lavoratori, mentre il partito filo kurdo Bdp propone una settimana di sciopero. La coda di dissapori tocca immediatamente la questione della sicurezza d’un settore ad alto rischio e sul tema il premier ha giocato d’anticipo. Nel discorso seguìto alla visita sul luogo del disastro Erdoğan ha sfogliato il libro del lutto di altre nazioni. Ricordando ciò che accadeva nell’Inghilterra di Cronin: 204 vittime nel 1838, 361 nel 1866, 290 nel 1894. E poi negli Stati Uniti nel 1907 e i 1.549 cinesi nel 1942. Anni comunque lontani, e in una tipologia di lavoro che resta infame le aziende dovrebbero introdurre maggiori sicurezze. Ma questo non sembra il pedigrée della Soma Coal Mining Company, per la quale i minatori lavoravano, e sulle cui misure preventive di controllo indaga la procura. Mentre la rappresentanza governativa s’aggirava per Soma il dolore e la rabbia della gente erano profondi e altissimi e il corteo istituzionale è stato investito da fischi e improperi.

Polizia e guardie del corpo hanno faticato a tenere sotto controllo la situazione sino alla fine della visita. Il settore minerario turco era stato già toccato da gravissime disgrazie, la maggiore nel 1992 aveva tolto la vita a 263 lavoratori e le statistiche sommano oltre tremila minatori che hanno avuto la vita spazzata via da grisu, crolli e incendi. Cose di cui Kemal probabilmente neppure sapeva, contento di guadagnare un po’ di lire per sé e da portare a casa risollevando le sorti di chi viaggia sul treno della modernizzazione nella veste più sfrenata che il liberismo economico concede. Una prassi sposata dal partito di governo che tanti consensi trova anche nei ceti popolari. Milioni di cittadini coinvolti nel miraggio della crescita personale, familiare, e quella nazionale d’una Turchia che sogna in grande con un nuovo tipo di nazionalismo stavolta islamico. Ma il modello, tuttora funzionante alle urne, riscontra continui intoppi nella vita d’ogni giorno. Lo scontento cresce, e i giovani che amano il lavoro, pure quello duro e manuale non vogliono finire come Kemal. E’ questo il campanello d’allarme per il sultano.

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