I volti
seriosi e poi minacciosi degli esponenti del partito Hezb-i Islami di Gulbuddin
Hekmatyar - uno dei più efferati signori della guerra afghani - presenti a una
tavola rotonda organizzata dalla locale Khurdish Tv non gradivano affatto
d’incrociare sguardo e parole di Selay Ghaffar. Lei è presidente di Hawca (Humanitarian
Assistance for the Women and Children of Afghanistan) una struttura di sostegno
per le donne afghane, e lì rappresentava l’Hambastagi Party. Il dibattito è
stato registrato in lingua originale, privo di sottotitoli, ma dalla semplice
analisi mimica, dall’intercalare degli interventi, dalla passione e dalla foga
s’intuisce come il confronto sia stato a dir poco serrato. Una breve nota a
margine dell’ufficio informazione del partito della Solidarietà sottolinea che
agli incalzanti riferimenti del passato sanguinario che ha caratterizzato i
miliziani dell’Hezb-i Islami, alla denuncia di abusi e violenze che li
contraddistingue offerti in diretta da Selay, la risposta è stata una sequela
d’insulti. I concetti più gentili dicevano: “passi la notte con altri uomini e ora sei seduta a questa tavola
rotonda”, e “sei una prostituta
tajika o uzbeka” e ancora “stai
promuovendo in Afghanistan prostituzione e omosessualità” fino
all’intimidazione diretta “abbiamo ucciso
persone a te vicine e presto ti ammazzeremo come loro”. All'attivista non sono mancati argomenti e determinazione per contrastarli. Il tutto al
cospetto d’un moderatore in giacca e cravatta che propone l’immagine della
normalizzazione del Paese.
نماینده حزب همبستگی افغانستان در برابر نمایندگان حزب منفور گلبدین from Solidarity Party of Afghanistan on Vimeo.
Una
“normalizzazione” che ha spinto recentemente in politica l’attivista per i
diritti delle donne, probabilmente anche per le difficoltà che la sua struttura
registra da tre anni per le pressioni delle bande paramilitari e dei contrasti burocratici
statali. Le case-rifugio per donne di Hawca sono sotto il calunnioso attacco
fondamentalista che le addita come bordelli col benestare del presidente
Karzai. Gli attuali compromessi elettorali coi sempiterni warlords dei
candidati Abdullah e Ghani non promettono nulla di buono. Ma il grande bluff
della democratizzazione del Paese prosegue il suo corso grazie alla copertura
occidentale. E taluni casi hanno riguardato proprio la questione femminile. Un
esempio è la storia della presunta legge per l’eliminazione della violenza sulle
donne (Evaw) di cui Ghaffar ha decantato la teorica correttezza, evidenziandone
la totale inapplicabilità. Secondo il governo Karzai, e per Paesi come il
nostro che si mettono a posto la coscienza, questa norma tutela le donne.
Racconta Ghaffar: “Sul testo di legge si
è attuato un blocco burocratico: la norma dopo essere stata scritta non è stata
approvata dal Parlamento, sciolto per le elezioni (nel 2009, ndr). Così il testo è tornato al governo che su
pressione di partiti come quello di Hekmatyar punta a eliminare tutti i commi
di maggior protezione per le donne“. Eppure le nazioni della missione Isaf,
e l’Italia fra esse, sbandierano l’idea dei grandi passi riformatori compiuti
grazie alla collaborazione con l’Occidente.
A forza di
ribadirlo i nostri politici se ne convincono, anche quando occupano incarichi in cui
l’ignoranza non è ammessa. Nello scorso novembre il Parlamento italiano ha
promosso un seminario sull’impegno giuridico rivolto ai diritti delle donne in
terra afghana, fra le invitate alcune parlamentari di Kabul, che a detta di
movimenti d’opposizione come Rawa (Revolutionary Association Women of
Afghanistan) sono la maschera dietro cui si nasconde il lassismo
dell’establishment afghano: a parole intenzionato a democratizzare il Paese, di
fatto aperto a ogni compromesso col fondamentalismo. Nell’intervento in quella
sede il nostro ministro degli Esteri dell’epoca Emma Bonino sosteneva la tesi
delle grandi migliorìe nella vita quotidiana per le donne afghane. Le faceva
eco l’allora semplice parlamentare, e ora ministro degli Esteri essa stessa,
Federica Mogherini, che per sua ammissione dell’Afghanistan conosce
esclusivamente la base militare di Herat, visitata durante un’escursione con le
Forze Nato. Nelle loro disgrazie le donne afghane hanno l’unica fortuna di
autoprodurre attiviste impegnate come Selay Ghaffar che ha imparato fierezza e
coraggio durante un’infanzia vissuta nei campi profughi pakistani, dove una
generazione è stata costretta per fuggire i massacri di assassini come Hekmatyar.
Sodale di Karzai e probabilmente di Abdullah, che secondo la storiella
occidentale passano per politici della democratizzazione. Come pensano alla Farnesiana
e a Montecitorio.
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