I sussurri, le grida si susseguono sullo scenario politico
afghano con ruoli invertiti o comunque mescolati. Alle lusinghe che il
presidente Ghani continua a lanciare ai talebani, o per meglio dire a quella
parte dei turbanti che l’ascolta, fa eco la voce grossa del già signore della guerra Hekmatyar. Prescelto
da tempo, e proprio da Ghani, come cerimoniere della pacificazione coi
fondamentalisti armati, ora Hekmatyar contesta il possibile slittamento
elettorale oltre la scadenza del 20 ottobre. Molte province sono insicure, e
sebbene la maggioranza dei gruppi taliban snobbi le elezioni, il pericolo
attentati è elevatissimo a opera di quei dissidenti che si firmano Stato
Islamico del Khorasan. Lo stesso presidente, che molto s’è speso per promuovere
l’apparato rasserenante delle consultazioni, ha recentemente dato risalto ai
dati dell’agenzia Onu sulle morti di civili, che nei primi sei mesi 2018 schizzano
a 1.692 vittime, stabilendo la peggiore percentuale degli ultimi dieci anni.
Morti determinate in prevalenza da attentati organizzati dal Daesh afghano,
mentre i talebani, che pure hanno ucciso concittadini, rivolgono il tiro
prevalentemente su militari e poliziotti.
Il partito di Hekmatyar (Hizb-i Islami) chiede a gran voce il
mantenimento della scadenza elettorale, mentre il premier Abdullah gli
contrappone il concetto d’unità della nazione in una fase in cui il pericolo è
il terrorismo e le polemiche favoriscono i nemici della nazione. Abdullah in
persona, all’epoca della sfida con Ghani per la presidenza, diede una
didascalica dimostrazione di cosa s’intenda per amici e nemici, inanellando
accordi ufficiali, ufficiosi, sotterfugi, voltafaccia, braccio di ferro e
kalashnikov puntati con alleati ed ex alleati. Infatti la costante che regna a
Kubul è l’estrema inafferrabilità degli eventi. Però i vertici statali
ribadiscono che una totale smobilitazione militare americana porterebbe a un pieno
terreno di coltura terroristica. Sarà. Ma quel che esiste da anni con tanto di
truppe d’occupazione non l’ha limitato affatto. Poi c’è il terrorismo con le
stellette, anzi quello apertamente a stelle e strisce, su cui aveva mosso
qualche passo la Corte Internazionale per i crimini di guerra, che può dormire
sonni tranquilli. Giorni fa l’uomo di Trump (John Bolton) ha minacciato i
magistrati: guai a toccare soldati Ryan e generali statunitensi. Il loro
operato non si discute, anche quando bombardano malati e medici come a Kunduz
nel 2015.
E allora cosa continua ad andare in scena nel mondo parallelo
dell’Hindu Kush? Niente di diverso da quanto sappiamo. Rappresentazioni,
intrighi e falsità comprese. Quest’ultime talvolta non facili da smascherare. Osservatori
locali impegnati a studiare il fenomeno jihadista hanno cercato riscontri su
alcune notizie diffuse dalla portavoce del ministro degli Esteri russo. Lei
sosteneva che elicotteri, non identificati ma imputabili alla Nato,
rifornissero di armi gruppi jihadisti nella provincia di Sar-i Pol. Non sarebbe
il
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