E’ stato il principe
saudita al-Jubeir, l’uomo imposto da Washington al cerchio magico di Mbs nel
delicatissimo ruolo di ministro degli Esteri, a esternare pesantemente al
Palazzo di vetro una litanìa risultata musica alle orecchie di Trump e della
sua ambasciatrice all’Onu Haley. Tanto per ribadire la già nota fedeltà Jubeir
ha parlato fra due angeli custodi che si chiamano Bolton e Pompeo e curano la
sicurezza statunitense e la segreteria di Stato. Il ministra Saud senza voli
pindarici ha esplicitato la necessità di far cadere la presidenza iraniana di
Rohani, applaudendo al rinnovato embargo americano che ristabilisce muri in
luogo delle aperture decretate dall’accordo sul nucleare firmato da Obama prima
della chiusura del mandato. A sostenere il braccio di ferro trumpiano ci sono
anche Emirati Arabi e Israele, tutti concordi nel propugnare uno scossone agli
attuali vertici iraniani prima che lo Yemen si trasformi in quel Libano
conosciuto dagli anni Ottanta in poi con la crescita politica e militare di
Hezbollah. Dunque via i vertici di Teheran, con ogni mezzo.
Fra i mezzucci messi in
atto non è certo, ma è plausibile, annoverare anche gli attentati che hanno di
recente insanguinato la località di Ahvaz. Ovviamente nessun diplomatico presente
all’Assemblea Onu fa riferimento a essi, ma il media ufficiale saudita (Al Arabiya) per mano d’un suo
opinionista, fa diretto riferimento ad altre spine nel fianco del sistema,
manifestazioni e scioperi che dalla fine dello scorso anno si susseguono in
molte aree del Paese. Il malcontento sociale iraniano è diffuso, alimentato
dalla caduta esponenziale del ryal, dalla sua perdita di valore e conseguente
potere d’acquisto monetario che riduce sul lastrico i ceti medi sostenitori di
Rohani. A politicizzare le proteste sarebbe la mai estirpata componente dei
Mujaheddin del Popolo, la cui rappresentante Maryam Rajavi vive a Parigi in un
esilio autoimposto. Il gruppo, che nella guerra civile del triennio 1980-82
assunse pratiche terroriste e stragiste, è da tempo chiacchierato per i
molteplici sostegni offerti dalla Cia. E può benissimo prestarsi a organizzare
turbolenze.
I sauditi, che tifano
per loro senza nasconderlo, spererebbero che questa fosse l’opposizione
iraniana in grado di stanare il regime degli ayatollah. Al di là della reale
consistenza in Iran di tale gruppo, la lotta intestina fra i poteri forti di
Teheran: da una parte gli orientamenti tradizionalisti di certo clero
conservatore che ha trovato in Raisi l’esponente di punta e continua ad avere
in Khamenei il garante della linea khomeinista, dall’altra il laicismo dei
Pasdaran, negli ultimi anni in un totale compromesso coi chierici che s’è trasformato
in diarchia. Non perfetta, poiché i riformisti fanno da terzo incomodo, vivo e
attivo, e soprattutto non rinuncia a una presenza attiva la popolazione. Fra la
gente, i fedeli al regime non mancano, come non mancano gli oppositori,
sicuramente crescono i dubbiosi, quei ceti sociali sempre presenti sullo scenario
nazionale e in molte fasi determinanti: studenti, commercianti, giovani donne
sempre meno rurali. Bisognerà vedere quanti di costoro son disposti a seguire i
proclami ideologici dei mujaheddin e quanti le promesse del clero, che
militante e non, attualmente ha scarsa presa su una gioventù di certo meno
combattente, non è detto meno combattiva.
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