Le mani dei deputati
dell’Akp, strette a pugno o aperte, stavolta sono levate al cielo in segno di
vittoria perché il pacchetto di emendamenti che trasforma il sistema
parlamentare della Repubblica turca in sistema presidenziale è stato approvato
con una maggioranza di 339 voti. E loro festeggiano e pregustano il consenso
che il voto popolare potrà offrire attraverso il referendum confermativo in
programma il 2 o 9 aprile prossimo. Il partito di maggioranza, che ha
preannunciato d’iniziare la campagna per l’approvazione della riforma dal prossimo
7 febbraio, cerca in un’urna che è sicuro di dominare quel consenso di popolo
che abbia la valenza politica d’un abbraccio delle masse alla sua linea in un
momento in cui il Paese è piegato e stordito dalle stragi interne. Il via
libera referendario alle nuove norme - considerate dall’opposizione una
controriforma scagliata contro la laicità dello Stato, il potere parlamentare,
il valore di rappresentanza del pluralismo - offrirebbe quella legittimità
democratica che Erdoğan ha sempre rivendicato alla riforma e alla sua linea
politica. La personale scalata al potere è frutto di sostegno e consenso e, sebbene
ci sia una parte della nazione che gli si oppone, un buon pezzo della gente turca
non l’abbandona. E’ accaduto anche nelle ore di paura del tentato golpe di
luglio: in tanti si sono precipitati in strada mettendo a repentaglio la vita
per difendere il Presidente e la Patria. Così il personalismo egocentrico
dell’ex premier e sempre leader dello schieramento islamista ha ricevuto
ulteriore slancio. Nonostante la fase plumbea vissuta dalla nazione dal punto
di vista della sicurezza messa a repentaglio dall’interno e dall’esterno, ha
utilizzato a suo favore quest’identificazione giocando una partita estrema.
I tanti nemici
(contestatori, oppositori, jihadisti) sono presentati come terroristi o
traditori con l’unico scopo d’indebolire e piegare la Turchia, un sistema-paese
forte d’un progetto che dopo il rifiorire economico prevede un grande rilancio
internazionale, se non nel sogno ottomano perlomeno nella volontà egemonica
regionale. Una linea che ha trovato estimatori anche fra i kemalisti: elettori
repubblicani che nel 2015 l’hanno votato e deputati nazionalisti, che hanno
fatto giungere l’appoggio nel momento topico del confronto nel Meclis. Senza la
pattuglia di Baçheli il pur consistente corpaccione parlamentare dell’Akp non
avrebbe superato i 330 voti che ora portano alla verifica referendaria. Niente
sarà più come prima: i decreti del super presidente potranno prendere il posto
di varie leggi parlamentari, addirittura figure di “vicepresidente” potranno
essere nominate al di fuori del Parlamento, i cui doveri sono modificati. Ad
esempio i deputati avranno facoltà solo di sorveglianza sui ministri e sui loro
gabinetti, non conserveranno l’autorità di assegnare ai gabinetti formulazione
di decreti con effetto di legge. Il super presidente oltre a rilasciare
decreti, sciogliere il Parlamento, indire elezioni, dichiarare lo Stato d’emergenza
(per ragioni di sicurezza questa condizione è in vigore dallo scorso luglio), avrà
un peso non indifferente sul Consiglio Supremo dei Giudici e Procuratori. Il
cui numero viene ridotto da 22 a 13 membri: quattro più un giudice ministero e
un sottosegretario, nominati dal Capo di Stato, saranno membri permanenti. Le
restanti sette nomine verranno effettuate dal Parlamento, dove il partito di
maggioranza (l’Akp del presidente) fa pesare un non indifferente controllo. Insomma
la democrazia resta molto sulla carta, enon proprio su quella Costituzionale.
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