Volto tumefatto da
sicura punizione più che da ipotetica colluttazione Abdulgadir Masharipov, lo
stragista uzbeko di Capodanno che aveva falciato 39 clienti del club Reina di
Istanbul, è stato catturato stanotte nella parte europea della metropoli. Il
quartiere dove si celava si chiama Esenyurt, in linea d’area una dozzina di
chilometri più a ovest di Zeytinbyunu, l’area di migrazione asiatica setacciata
durante le prime indagini. Da due settimane la sua foto segnaletica era in ogni
angolo della Turchia, nei copiosi posti di blocco, su centinaia di vetture
della polizia e nelle tasche di migliaia di agenti sguinzagliati nella città
del Bosforo. Il sospetto che l’uomo fosse rimasto nel circondario era elevato,
il fatto che fosse un immigrato con famiglia al seguito rappresentava una
tipologia atipica del miliziano, meno strutturato rispetto a un’organizzazione
clandestina e militare. Comunque il killer è stato preso in un appartamento
che, secondo gli inquirenti, serviva da base per l’Isis. Con lui un kirghizo,
suo amico, e tre donne africane di nazionalità egiziana, somala, senegalese.
Nella casa c’era anche un piccolo figlio di Masharipov che l’uomo aveva preso
con sé dopo l’attentato. Ufficialmente, così riporta l’agenzia Anadolou, l’uzbeko ha confessato
d’essere l’esecutore del massacro nella notte di Capodanno.
Aveva cercato di far
perdere le proprie tracce dal luogo dove viveva coi familiari, ma dopo
l’arresto della moglie, che s’è dichiarata inconsapevole dell’attività del
marito, non riusciva ad allontanarsi da Istanbul. Secondo le dichiarazioni del
governatore cittadino, Masharipov è un combattente abile e addestrato.
Padroneggia quattro lingue, ha ricevuto una solida preparazione all’uso delle
armi in Afghanistan, unisce capacità operative e militari. Il fatto che avesse
accanto i parenti può far seguire due ipotesi. Quella più semplice d’un gioco
di copertura: per non sollevare sospetti sull’attività terroristica l’immagine
del migrante per lavoro coi familiari accanto poteva coprirne i movimenti. O
una seconda: l’Isis cerca, e trova, adesioni su fronti nuovi che riguardano
appunto persone in movimento per lavoro o per qualsiasi motivo di
allontanamento dalle terre d’origine. Certo, nel caso di Mashiripov, la
presunta meticolosa preparazione non confermerebbe un reclutamento recente. Con
quest’operazione polizia e Intelligence turche riescono a salvare la faccia di
fronte alle contestazioni di sbandamento e inefficienza di cui tanto s’è
parlato. Ma, ben oltre la cattura del jihadista-papà, ciò che può minimamente
rasserenare una nazione scossa nel profondo è la prevenzione contro lo
stillicidio di morte che da mesi s’aggira per l’Anatolia.
Nessun commento:
Posta un commento