Tanto per tener caldo il clima prelettorale
delle politiche del 7 giugno il presidente turco Erdoğan ha minacciato il
direttore della testata turca Cumhuriyet,
Can Dündar. Questi tre giorni or sono aveva pubblicato un servizio di foto e
video, risalenti al gennaio 2014, dove apparivano agenti e militari turchi impegnati
a collocare containers su particolari camion. Quegli automezzi erano diretti in
Siria; nelle casse metalliche erano celate armi e munizioni destinate alla
guerriglia anti Asad, probabilmente alle stesse milizie dello Stato Islamico.
Così conferma lo staff giornalistico, senza rivelare la provenienza delle
immagini. Ieri il presidente turco, in una pubblica intervista televisiva, ha
tuonato contro il giornalista Dündar accusandolo di “spionaggio ai danni dell’Intelligence nazionale”. Ha poi sostenuto
che gli armamenti erano rivolti ai turkmeni in Siria e che, secondo notizie
raccolte dal Mıt, si trattava di un’operazione orchestrata dal famigerato “stato
parallelo” che continua la propria azione di discredito per affossare il
governo islamico.
Precedentemente l’agenzia Reuters aveva diffuso la notizia di un’indagine disposta da un
procuratore in merito alle dichiarazioni di poliziotti che parlavano di
spedizioni di armi in territorio siriano. Un’iniziativa attuata da addetti ai
Servizi nazionali già nel 2013 e nuovamente l’anno seguente. Sulla possibile
inchiesta si scatena la bagarre dell’ufficio di presidenza turco che sottolinea
sia l’incompetenza della magistratura verso operazioni del Mıt, sia il mai
sopito contrasto con la componente gülenista che fra giudici e militari gode
d’un seguito non secondario. L’ipotesi del complotto per colpire il
partito-regime torna a essere uno dei temi dell’ennesima campagna elettorale su
cui l’erdoğanismo misura la sua forza. Mentre sale una voce che prevede,
proprio a ridosso del voto, un’ennesima stretta repressiva contro i giornalisti
scomodi. Lo scorso 24 aprile Cumhuriyet aveva
aperto l’edizione con un titolo a effetto: “Mai più”, ricordando i cento anni
dall’avvio del genocidio armeno. Una ricorrenza che il nazionalismo turco,
anche quello dal volto islamico del Partito maggioritario dell’Akp, fa
difficoltà a ricordare criticamente.
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