Recep Tayyip Erdoğan
- che non è più un semplice deputato del Refah
Partisi, perseguitato per l’islamismo con cui attaccava il kemalismo,
ma ha fatto una strabiliante carriera come premier e ora come presidente della
Repubblica - a sette giorni da un voto politico dove si gioca il futuro
politico lancia uno di quegli ‘a fondo’ che l’hanno reso celebre. Lo fa sul
terreno della libertà di stampa, che gli sta comportando pesanti critiche
internazionale. Era già accaduto con la repressione di Gezi park, che lui ha
ricercato con cocciutaggine, cosicché la Turchia vive oggi un isolamento pari
solo a quello dell’epoca delle antiche dittature militari. Oltre all’odio verso
i giornalisti ficcanaso, il sultano si sente offeso perché nello scoop del Cumhuriyet sullo smistamento di
container (con armi e munizioni) verso il confine siriano, c’è un chiaro
riferimento alla sua persona coinvolta insieme al fedelissimo ex ministro degli
esteri Davutoğlu.
Un coinvolgimento che li ha visti offrire sostegno prima al Libero Esercito Siriano, quindi ai jihadisti anti Asad e finanche ai miliziani dello Stato Islamico. Eppure la leadership turca non ha mostrato imbarazzo verso le immagini che, durante l’assedio jihadista a Kobanȇ, mostrava conciliaboli fra ufficiali turchi e uomini coi drappi neri issati sui pick-up provenienti da Raqqa e Mosul. Così qualche politologo ha lanciato l’ipotesi che non a un “sultanato” bensì a un “califfato” stia puntando l’uomo di Ankara. Idea pazza? Giocose illazioni da gossip politico? Nei mesi scorsi alcuni manifesti dell’Akp sfioravano la goliardia quando mostravano taluni candidati calzare il copricapo ottomano. E che dire della decisione del governo di chiamare il nuovo mega ponte sul Bosforo (una delle meraviglie della Grande Turchia agognata dal programma erdoğaniano) Yavuz Sutan Selim Bridge.
In onore del sultano ottomano Selim I che respinse
i Safavidi dell’Impero persiano nel 1514. Gli alawiti di casa hanno protestato vivacemente
quanto inutilmente. Altro che rivisitazione del kemalismo, il desiderio di grandezza
islamica è palese. E vista l’aria che tira questa deve rivaleggiare con le mire
saudite, deve ridimensionare le pretese iraniane, e mostrare la forza turca
anche agli Al Baghdadi d’oltre confine. Nessuno ha dimenticato le citazioni del
poeta Ziya Gökalp che costarono a Erdoğan la galera per incitamento
all’odio religioso: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri
elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati”. La prima fase della battaglia si rivolge all’informazione
interna che non si piega e solidarizza col direttore di Cumhuriyet
attaccato dal presidente. Il giornale titola “Io sono responsabile”, con lui
compaiono le facce dei giornalisti che s’autoaccusano. I giornalisti
minacciati rivendicano la propria fede verso la deontologia e la libertà
d’espressione.
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