Dall’Erdoğan contro tutti, al tutti contro
Erdoğan. Ma in quella diffusa bagarre che - tornando al gioco di parole -
colloca le attuali elezioni politiche turche nel classico “tutti contro tutti”
si può notare qua e là qualche interesse intrecciato fra partiti realmente contendenti.
Che non sono molti, solo quattro hanno la possibilità di ottenere seggi in
Parlamento superando la soglia del 10%. Gli islamici dell’Akp (oggi seduti su 312
scranni), i repubblicani del Chp (125), i nazionalisti del Mhp (52), i filo
kurdi del Hdp (29). Si detestano o semplicemente s’odiano, mai s’unirebbero
l’uno con l’altro, seguendo di fatto tendenze precostituite. Eppure.
Qualche
comune interesse
- Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) punta ad agguantare i 330
seggi che gli consentirebbero di cambiare in solitaria la Costituzione che il
leader indiscusso, collocato plebiscitariamente da dieci mesi a capo della
della nazione, vuole rendere presidenzialista. Eppure, se quest’obiettivo
devesse svanire il movimento fatto regime avrebbe due obiettivi da condividere
col Partito democratico dei popoli (Hdp): rilanciare la trattativa di pace col
Pkk e riscrivere la Carta costituzionale. Su quest’ultima lo scambio sarebbe: presidenzialismo
per Erdoğan e soci, riconoscimento dei diritti delle minoranze per la coppia
Demirtaş-Yüksedağ. Un punto ciascuno ed entrambi contenti, alla faccia del
partito popolare repubblicano (Chp) e di quello nazionalista (Mhp) che
rispettivamente disprezzano il presidenzialismo e la trattiva coi guerriglieri
kurdi, oltre a non volere né potere patteggiare una virgola col partito
islamico, pena lo svergognarsi coi propri elettori.
Crescita
ingessata
- Basta questo primo passaggio attorno ad alcuni obiettivi per comprendere come
i gruppi più ingessati siano quelli del laicismo kemalista che non collaborano fra
loro né affondano colpi per cambiamenti di sorta. Conservano un elettorato
prevalentemente urbano e tradizionalista, ceti medi leggermente progressisti o
sul fronte opposto apertamente fascisti e golpisti, ma restano tendenzialmente minoritari.
Eppure recenti sondaggi li danno in crescita, si prospetta un 26% per il Chp e
addirittura il 18% per il Mhp; ma la loro proiezione di rispettivi 134 e 100
seggi non produrrebbe nessuna ipotesi governativa, perché l’Akp, dato in ribasso al 41%, incamererebbe pur sempre
oltre 250 parlamentari. Questa l’ipotesi più sciagurata per il gruppo islamico
che potrebbe formare un governo solo con un appoggio esterno, dato da chi è
tutto da chiarire. Ma, l’abbiamo ricordato, l’unica apertura può riguardare la
formazione dell’Hdp.
Sano pragmatismo
- Qualora
il sostegno dell’urna fosse più robusto (45%) l’Akp potrebbe sicuramente formare
un esecutivo di maggioranza, come sta facendo da tempo, ma per la riscrittura
della Costituzione entrerebbe in ballo il patteggiamento con l’Hdp. Il do ut des spaccherebbe il capello in
quattro, i democratici filo kurdi non amano il presidenzialismo, tantomeno
l’interpretazione che ne sta dando Erdoğan prima del tempo, visto come si
comporta rivestendo, anche in queste consultazioni, un ruolo tutt’altro che super partes. Una trattativa, dunque,
sul filo del rasoio, ma farla saltare danneggerebbe entrambi gli schieramenti,
e c’è chi crede che un sano pragmatismo possa far superare barriere ideologiche
precostituite.
Prove di
dittatura -
Lo scenario giudicato più inquietante, non solo dalle opposizioni (anche quelle
che non vanno al voto per scelta o per impossibilità percentuale) bensì da
organismi internazionali sui diritti umani è un successo dell’Akp oltre il 48%.
Fra l’altro se l’Hdp non dovesse raggiungere il 10% dei consensi il premio di
maggioranza favorirebbe enormemente il partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Con
la maggioranza assoluta farebbe man bassa di seggi e di velleità politiche,
trasformerebbe la Costituzione non solo introducendo ufficialmente il presidenzialismo,
ma insinuando sempre più normative di società islamica, taluni politologi
sostengono in odore di califfato. Stamane, in un intervento su Hurriyet, un editorialista parla
esplicitamente di possibile dittatura che potrebbe scaturire da queste elezioni,
criticando la linea di condotta assunta dal presidente che incita gli elettori
a sostenerlo in una sorta di ‘guerra di liberazione’. Mentre ciò che accade nel
Paese va in senso opposto, fra segreti di Stato, operazioni sporche (il caso
degli armamenti all’Isis denunciato dal giornalista Dündar), attacco alla
libertà d’informazione, minacce da regime.
Volontari
nei seggi -
Per la delicatezza del momento, per la tensione crescente nell’opinione
pubblica e fra i partiti, due organismi neutrali “Piattaforma per il voto
turco” e “Votare e oltre” hanno organizzato un monitoraggio dei seggi sparsi
per il Paese per tenere sotto controllo le fasi del voto e dei successivi
conteggi, ne sono coinvolti migliaia di volontari. L’Osservatorio non avrà
compito facile, specie nelle zone rurali anatoliche dove, come accadde nelle
amministrative 2014 si ebbero polemiche e scontri fra fazioni.
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