Mentre il
sud-est della Turchia
- quel Kurdistan di casa il cui solo pensiero irrita i nazionalisti - festeggia
ormai da ventiquattr’ore piene; mentre i politologi azzardano coalizioni
possibili oppure spericolate, ora che anche Erdoğan ha smussato la boria e
assunto toni da presidente parlando di collaborazione fra i partiti
nell’interesse nazionale. Mentre l’Akp inizia a scrutare quali fili della sua lampadina-simbolo
siano andati in corto, è interessante capire come ha funzionato l’effetto
amalgama del partito sorpresa: quello Democratico del popolo (Hdp). Che è certamente
filo kurdo e nasce dal corpo ben strutturato nelle province orientali, dove il
partito della Pace e democrazia (Bdp) lavorava dal 2008 e organizzava
cittadini, lavoratori amministrando piccoli centri e grandi città come
Diyarbakır, ma la mossa vincente prende corpo tre anni fa. Con la costruzione
d’un braccio politico del Congresso democratico del popolo, chiamato Halkların Demokratik Partisi, che si
dà come primo punto il principio anti-nazionalista. Piccola parentesi: mettete
di fronte l’avvocato Demirtaş col suo sorriso accogliente e l’arcigno Bahçeli,
un economista che appare molto più anziano degli attuali 67 anni. Vedrete due
mondi, un futuro che è già presente e lo spettro d’un passato che tende a
perpetuarsi. Soprattutto perché circa sei milioni di kemalisti perbenisti, ma
anche di fascisti, lupi grigi, militari golpisti e paramilitari d’ogni risma lo
seguono e l’hanno rivotato.
Eppure
nella Turchia dai cento e uno volti, accanto alle statistiche
indagate dagli analisti intenti a comporre puzzle post-voto, la modernità è
tutta in questo partito che disarticola una delle retoriche pattriottarde più
dure a morire. Unisce anziché proclamare separatismi. E raccoglie quelle etnìe
che il vecchio kemalismo schiacciava e quello di ritorno vorrebbe evanescenti,
facendo finta che aleviti, armeni, yazidi, azeri, circassi, kurdi non esistessero,
oppure oblìassero il passato, mentre li lusinga col consumismo laico o
islamico. L’Hdp riunisce quelle identità che osano dire no a uno Stato che
resta militarista e ripropone dogmi autoritari pur su uno skyline di moschee.
Il partito Democratico del popolo avvicina cittadini, credenti o meno, perché il
confessionalismo non è nelle sue mire, dispiega la bandiera dell’anticapitalismo,
raccoglie ideali socialisti. Mette al centro del programma questioni presenti
nella società: la parità nella politica (Demirtaş dirige con Yüksekdag e il
partito colloca in Parlamento 31 deputate), il ruolo della donna e le relazioni
fra generi, compresa quell’omosessualità osteggiata dagli omofobi. Pone
attenzione alla democrazia e alla libertà dell’individuo, ai diritti civili,
all’ambiente in cui si vive. Temi importantissimi ma non nuovi; lo diventano
nella Turchia a una dimensione che Erdoğan e Davutoğlu avevano confezionato in
tredici anni di governo dal sapore di regime. Un regime da cui hanno iniziato a
distaccarsi pezzi di elettorato islamista. Nella tabella sottostante compaiono
le percentuali di voti indirizzati all’Akp in alcuni distretti del sud-est nelle
due ultime consultazioni. Considerando che in quelle aree la presenza kurda è
elevatissima si può notare come il partito islamico riusciva a raccogliere
consensi anche fra costoro.
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Politiche 2011 Politiche
2015
ŞIRNAK
20,64 %
10,63 %
AĞRI 47,54 % 18,64%
SİİRT 48,09 % 27,93
%
BİTLİS 50,62 % 31,74
%
MUŞ 42,86 % 35,25 %
VAN 40,18 % 22,78 %
BİNGÖL 67,06% 52,40
%
AMED 32,88 % 15,47 %
URFA 64,80 % 48,53 %
ELAZIĞ 67,39 % 53,28 %
ERZURUM 69,25 % 54,63
%
HAKKARİ
16,42 % 11,36 %
ERZİNCAN 57,39 % 52,92
%
ANTEP 61,85 % 47,16 %
MARAŞ
69,62 % 61,77 %
fonte Uiki
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Ora sempre meno, perché quell’illusione sta svanendo. Per ora non abbiamo cifre
di restanti distretti turchi, ma forse anche lì s’è creata più di qualche
crepa. Certo, un elettorato del 41% a sostegno dell’Akp è tuttora una massa immensa.
Lo zoccolo duro anatolico, che non vuole distaccarsi dal paradiso di certezze
che l’uomo della provvidenza islamica elargiva e prometteva, resiste. Però
l’orizzonte s’oscura. Dopo il giorno del voto e la notte dei risultati, la
mattinata seguente delle Borse è stata travagliata e la politica interna turca
inizia a fare i conti con le ingerenze compiute dai mercati su una fase che
diventa incerta. L’odierna discesa del 5% della lira, il crollo di 8 punti
della Borsa turca rappresentano i prodromi di tumulti che potranno seguire. E
questi possono continuare a incrinare le convinzioni d’un elettorato che si
sentiva rassicurato dalla grande espansione della nuova Turchia. Con economia e
mercati dovrà fare i conti anche il pezzo di società democratica oggi in festa.
Il suo anticapitalismo lo troverà in sintonìa con tanto antagonismo sparso qua
e là, d’opposizione o di governo, se per quest’ultimo s’intende quella sinistra
europea che da Syriza a Podemos ha trovato seguito fra le speranze popolari.
Sponde, confronti e paralleli li hanno finora proposti solo taluni media,
prevalentemente mainstream, magari a caccia di sensazionalismo. Quello che Hdp
e il panorama turco di fatto offriranno lo scopriremo direttamente dai
protagonisti.
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