giovedì 2 aprile 2015

Palestinesi contro, palestinesi in mezzo

A Yarmouk, periferia sud di Damasco, vivono ancora in diciottomila. Sono rifugiati palestinesi, figli, nipoti, pronipoti della diaspora. Del diritto al ritorno negato dall’occupazione israeliana della loro terra. Vivono è un eufemismo, da oltre un anno sopravvivono perché scarseggia tutto anche pane e acqua. Ci sono respiri affannosi e paure celati fra scheletri di case, macerie e polvere. Sulla testa le bombe delle artiglierie dell’esercito di Asad e dei ribelli. Nello stesso campo sbriciolato fazioni palestinesi si attaccano, buona parte è contro il governo siriano, ma c’è chi si batte coi suoi soldati riconoscendogli l’accoglienza di vecchia data. I ricordi cozzano con la realtà dell’iniziale guerra civile trasformatasi in una sanguinosissima mattanza. Con la comparsa dell’Isis è arrivato il peggio e in questi giorni le truppe jihadiste si sono prese un grosso spazio di quella terra di morte, dove chi non è fuggito continua a stare, forse senza poter neppure raccomandare più l’anima a Dio. Quelle migliaia di persone, provate da anni, non sanno dove e con chi stare; vorrebbero essere altrove, vorrebbero quello che nella loro storia è diventato un sogno irrealizzato.


Ora Yarmouk è in emergenza assoluta. Gli organismi di soccorso come Mezzaluna Rossa e Croce Rossa sostengono che senza corridoi d’aiuto per far giungere medicinali salvavita e generi alimentari primari i più deboli - come al solito bambini e anziani - non potranno farcela. Moriranno a centinaia. A questi profughi, ai tre, quattro, cinque milioni (non sono numeri a caso, la cifra precisa sfugge anche agli organismi Onu preposti per le statistiche) di siriani, aleviti, kurdi, yazidi, armeni, turkmeni e chissà quali altre etnie sparse e sperse per tendopoli diventate città, è sempre più difficile offrire un aiuto. Ovviamente sono le crisi a determinare le emergenze, e sulla crisi politica siriana la geopolitica mondiale ha giocato e gioca la sua partita del cinismo e del Risiko internazionale. Se componenti, pure in conflitto duro e senza esclusione di colpi, come sono il clan Asad con la popolazione che lo sostiene e i rivoltosi sunniti dell’occidente d’un Paese diventato un colabrodo potevano fra mille incertezze trovare una mediazione, la presenza dello Stato Islamico rende tutto impossibile. Il futuro prossimo parla solo di guerra e sofferenze a Yarmouk e altrove. La comunità mondiale guarda e tace.

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