Attrazione
interessata -
L’accordo sino-pakistano di queste ore, non coinvolge solo la sfera economica,
che prossimamente potrà addirittura trasbordare dai pur ciclopici 46 miliardi
di dollari convogliati da Pechino verso la popolosa e irrequieta potenza
regionale asiatica. Le mosse cinesi assumono contorni geostrategici senza
muovere ufficialmente pedine militari, come invece accade a un alleato fino
agli anni scorsi privilegiato di Islamabad: gli Stati Uniti d’America. Che nel
cuore dell’Asia vogliono continuare a
starci, nonostante la debâcle afghana e i pronunciamenti di ritiro, per tacere
del caos creato dall’Iraqi freedom.
Il Pakistan, attraverso il porto di Karachi, ha rappresentato e rappresenta la
via d’ingresso della corposa macchina bellica terrestre che gli Usa scaricano
dalle navi e che, viaggia non senza difficoltà, verso le mete preposte. Tante
armi, munizioni e materiale di supporto giungono ovviamente anche dai cieli, e
le mega basi aeree create a Kabul e in altre province afghane, sono servite per
queste necessità. La diplomazia di Pechino guarda al Pakistan da tempo nella
sua doppia veste di avversario dell’India, la concorrente economica diretta
della Cina, e come riferimento regionale in antagonismo a Iran, Arabia Saudita
e Turchia.
Il marchio
della SCO -
Col premier Gilani, prim’ancora di Sharif, si erano stilati accordi economici
ed era tornata in auge la proposta di confluire nella Shangai Cooperation Organisation, dove la Russia che giganteggia
con la Cina (Kazakistan, Khirghizistan, Uzbekistan, Tajikistan sono le altre
nazioni aderenti) invita all’ingresso anche l’India. Quest’ultima, pur ponendosi
come Paese osservatore, non ha mai avanzato richieste. Fra le potenze regionali
è presente l’Iran, mentre la Turchia si è aperta a una partnership esterna. La
SCO non si ferma alle relazioni economiche, i membri della struttura lavorano
in sinergia sul tema della sicurezza in un’area instabile a elevata
concentrazione di guerriglia - i network talebani con caratteristiche di
resistenza alle truppe Nato - più il combattentismo indipendentista delle aree
tribali (Fata), passando per i baluchi e i miliziani delle TTP, autori degli
attacchi stragisti a Peshawar per vendicare la repressione dell’esercito
pakistano nel Nord Waziristan. Un’insorgenza disposta a macchia di leopardo
anche in zone dove il business minerario delle aziende cinesi necessiterebbe di
tranquillità. Accanto a quella estrattiva dei metalli dell’hi-teach e delle
armi più sofisticate (terre rare e dintorni) l’altra attività commerciale ruota
attorno all’energia.
Corridoi
solo economici? - Paesi
come il Turkmenistan possono far viaggiare il proprio metano in gasdotti
pianificati come quello denominato Tapi, di cui si discute da anni e che
avvicinerebbe le non amorevoli relazioni di Pakistan e India, attraversate dalla
pipeline assieme all’Afghanistan. Quest’ultimo, con la provincia di Kanadahar
ad alta concentrazione talebana, costituisce l’anello debole del progetto per
le oggettive ragioni di sicurezza e controllo del territorio. Aziende pakistane
come la Pakistan Petroleum Limited e
la Oil and Gas Development Company
sperano di poter mettere le mani almeno sulla parte di gasdotto che attraversa
il proprio territorio, ma il colosso energetico francese Total è in prima fila per l’aggiudicazione della commessa. Con la
nuova immissione di capitali la Cina sta ‘corteggiando’ pesantemente la
leadership di Islamabad. Le accoglienze in pompa magna riservate da Sharif al
presidente Xi Jinping, certamente uno dei potentati del mondo, partendo da
intenti commerciali potranno imboccare percorsi geostrategici. La questione dei
“corridoi economici”, ad esempio, punta a sviluppare l’ipotesi già impostata
quattro anni or sono sul porto di Gwadar, assai vicino al confine iraniano e
prospiciente al Golfo Persico. L’intento sarebbe quello di renderlo grande
quanto e più di Karachi.
Il mare
del petrolio e della Quinta flotta - Nei piani cinesi più che inserirlo nella grande
via marina che da Shangai giunge all’Adriatico (passando per le coste del
Viet-nam poi Jakarta e Colombo, toccando l’Africa e insinuandosi nel Mar Rosso
per varcare Suez) Gwadar farebbe da hub per una delle comunicazioni mercantili interne
fino a Islamabad e attraverso la parte meridionale della Cina riaffacciandosi
sull’omonimo mare. Eppure il grande porto potrebbe non essere solo mercantile.
I colloqui avuti sinora non lasciano trasparire nulla. Ma alla Quinta flotta Usa,
disposta nel Bahrein, pensare di avere subito dopo il Golfo di Oman un luogo
dove possano aggirarsi anche solo mercanti cinesi può non piacere, pensieri
simili vagano nelle testa degli sceicchi. Allo stato attuale ogni illazione è
fantapolitica, poiché una certezza nelle relazioni internazionali cinesi è la
lontananza da interferenze e provocazioni. Però le consulenze nucleari dei suoi
consiglieri a Islamabad sono note e nella ridefinizione dei mercati
globalizzati possono entrare sempre più geostrategie che trattano il controllo
delle aree dove si produce e dove materie e merce viaggiano. Le nuove ‘vie
della seta’ possono intersecarsi con l’instabilità e la delicatezza di certi
beni e gli scenari possono mutare. Per ora i pechin-dollari serviranno ad
aprire tre grandi direttrici di comunicazione interne dal mare Arabico al nord
pakistano Chissà se trasporteranno anche materiale bellico americano nel cuore
dell’Asia.
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