Siamo nati discutendo della Resistenza, moriremo resistendo. Con l'arma della critica, ricordando la critica delle armi, non mitizzando nulla, sostenendo la forza delle idee e la dirompenza della memoria. Per rinnovare lo studio della Storia che parla attraverso i fatti, oltre il racconto e l'interpretazione dei vincitori. Oltre l'astio dei vinti sostenuto dalla manipolazione revisionista che inventa circostanze inesistenti per giustificare l'orrore dei propri errori. In questa rievocazione ci facciamo condurre da Maestri della penna, poeti della narrazione resistenziale, gente nata per l'arte della scrittura che aveva appreso la lezione di giganti letterari d'Oltreoceano come Steinbeck. Un tuffo nel recente passato, bisognoso di nuovi stimoli per frenare rinnovati crimini del nazifascismo, di chi calpesta la Storia e resta sordo ai suoi insegnamenti.
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APPUNTI PARTIGIANI, di BEPPE
FENOGLIO
Parlare di retorica Resistenziale
vuol dire disconoscere l’opera del più grande autore di romanzi partigiani:
Beppe Fenoglio. Scrisse di lui Italo Calvino, che insieme a Vittorini ne
sostenne la prima pubblicazione nella collana “I Gettoni” “Fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti
avevamo sognato quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio. Il libro che
la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un
coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una
stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione
che va da Il sentiero dei nidi di
ragno a Una questione privata“. Fenoglio è un ciclopico “minore”
della letteratura contemporanea, troppo spesso sminuito nel suo talento di
prosatore da chi lo accusava di aver scritto sempre lo stesso romanzo. In
effetti il tema della guerra partigiana - che segnò a fondo la sua giovinezza e
quella di tanti che come lui regalarono i migliori anni alla costruzione della
rinascita d’Italia - si sussegue nelle sue opere rendendole un grande variegato
testo. Ma questo da fattore limitante può trasformarsi in pregio. Specie se
consideriamo il valore non solo di una testimonianza realistica dell’evento
storico, spogliato da qualsiasi funzione celebrativa, ma del lavoro stilistico
dello scrittore. Che da giovane aveva iniziato un personale studio della
letteratura anglosassone affascinato dal rigore etico e forse anche
glottologico di quella lingua. Aveva introiettato la lezione americana proposta
da Pavese e Vittorini tramite le traduzioni dei romanzi di Hemingway e
Steinbeck che esaltavano un linguaggio essenziale e descrittivo. Poi ci mise
del suo. Il giovane Beppe scrive d’acchito, senza fronzoli, usa gli aggettivi
giusti che riescono a raccontare un mondo con pochi o nessun avverbio, spesso
getta via anche gli articoli. Le frasi dei suoi romanzi sono dirette come le
schioppettate dei patrioti, l’esatto contrario di certi contorsionismi
linguistici derivati dalla letteratura ottocentesca densa di orpelli. Una prosa
che mostra un talento assoluto nella scrittura, mediato dalla sensibilità
d’artista e impregnato della natura verace di langarolo. L’arte del narrare in
Fenoglio è asciutta come la sua figura, a volte spigolosa com’è ossuto il suo
corpo, ma precisa, definita, ricca di significati e risvolti interpretativi.
Ultimo nella pubblicazione,
Einaudi l’ha stampato addirittura nel 1994, gli Appunti partigiani
sono il primo testo del ciclo resistenziale dell’autore. La prova generale di
quel capolavoro narrativo e linguistico che è Il partigiano Johnny
(pubblicato postumo nel 1968) e dell’altro mirabile romanzo della lotta
antifascista nelle Langhe I ventitre giorni della città di Alba dato
alle stampe nel 1952, con l’aggiunta di Una questione privata, il cui
titolo già rivela gli intrecci personali in un fatto storico collettivo quale
fu la lotta di Liberazione. Gli Appunti
videro luce per il caso fortuito che portò gli eredi a non dismettere gli
arredi della macelleria di famiglia dov’erano riposti quattro taccuini con
tanto di frontespizio “Macelleria Fenoglio Amilcare, piazza Rossetti, Alba” su
cui il ventiquattrenne Beppe, a guerra appena conclusa, vergò di suo pugno il
testo. I taccuini, passati alla famiglia di Giancarlo Molino, sono stati
esaminati e preparati alla pubblicazione da uno studioso dell’opera di
Fenoglio, Lorenzo Mondo, che già aveva fatto conoscere il romanzo più celebre
dello scrittore di Alba. Son tutti divisi a colonne con le diciture: data,
carne, prezzo, importo. Sul primo taccuino Beppe scrisse la dedica: “A tutti i
caduti partigiani d’Italia” poi corretta in “A tutti i partigiani d’Italia,
morti e vivi”. E’ l’unica concessione retorica, se vogliamo ritenerla tale, e
non un commosso ricordo a chi ha donato gioventù e vita per la libertà del
Paese. Il resto è realtà, cruda e tenera: fame, freddo, fughe, imboscate,
paure, meschinità del quotidiano, infamie delle spie fasciste e anche di alcuni
partigiani. E poi morte e dolore, e al tempo stesso ironia e amore. Sacro
quello per Anna Maria, profano e sensuale, nonostante i luoghi dove viene
consumato, l’altro per la staffetta Claudia. Qui di seguito un fantastico flash per ogni capitolo. Buona lettura.
”Tòrnaci. Se te la senti, tòrnaci. Ma sappi che ogni volta passeranno
con camion e mitraglie e cani per quelle colline dove tu sarai, io mi sentirò
morire” (Alla macchia).
“Luce
acerba, saran le sei e mezzo. Ma va a essere una bella giornata, e le belle
giornate hanno un senso anche per noi partigiani” (In banda).
”Porcaccioni
e vandali (il cesso ostruito da interiora di gallina e coniglio, sedie
azzoppate, letti sfondati)” (Cascina della Langa).
Si volta e vede “il più magnifico paio di gambe mai
profilatosi ai miei attenti occhi” (Anna Maria).
Il maestro elementare “bastardo e traditore che metteva la sua
istruzione a scrivere belle lettere agli assassini della San Marco”. “La gente grida col collo gonfio: - Sì, che è
una spia, Cristo che lo è!” Per lui è la fine: nessuna pietà” (La giornata delle esecuzioni).
“Nei giorni seguenti parte una
caccia all’uomo “quei culattini dei
fascisti, spie dei tedeschi, gli hanno detto che c’è il Comando e il grosso
della nostra divisione” (Il rastrellamento).
“Interrogato
dal Comandante Cosmo Blister si difende dicendo che i rapinati son fascisti.
Cosmo gli grida che se quella gente è fascista lui è il duce e gli sferra un
pugno in bocca” (La punizione di Blister).
“Claudia siede alla mia destra. E si cimenta per tutta la cena, facendosi
palpare le gambe perché sentissi la seta delle calze, … puntandomi l’indice nel
profondo delle coscie” (La staffetta Claudia).
marzo 2004
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