E’ un giovedì come un altro nella città di
Mazar-e-Sharif, capoluogo della provincia settentrionale di Balkh, in
Afghanistan. Un gruppo di cinque uomini rapidi, armati, determinati penetrano
in un compound sede del capo procuratore regionale. Sono attentatori talebani
e, come in altre occasioni, indossano divise dell’esercito locale, così non
vengono fermati da nessuno. Gettano una bomba a mano all’ingresso della
struttura. La polizia beffata risponde al fuoco e chiama rinforzi, mentre due
agenti e il capo della polizia restano immediatamente uccisi. A fine sparatoria
si raccolgono i cadaveri di altri cinque poliziotti e quattro giudici per un
totale di dodici morti e settanta i feriti fra cui molti passanti. Come in
centinaia di situazioni simili, sebbene negli ultimi tempi Mazar era rimasta
esente da attentati.
A Jalalabad, verso il confine pakistano, una
squadra delle Forze Armate, quelle addestrate dai ‘consiglieri’ statunitensi,
nel corso di un pattugliamento incrocia un reparto americano. Un soldato
afghano prende la mira e fredda un collega a stellestrisce e in rapida
successione ne ferisce due. Nello scambio a fuoco gli viene restituita la
pariglia: ucciso anche lui. Si trattava d’un talebano infiltrato? Non lo saprà
mai il generale Fazed Ahmad Sherzad, il capo della polizia dell’area di
Nangarhar, che ha svelato l’incidente alla stampa ammettendo che è avvenuto
dopo un incontro fra leader politici locali e personale dell’ambasciata statunitense
della città sul confine orientale. L’annuncio è seguito anche da un incrocio di
dati su feriti, due da ambo le parti, non dichiarati e poi svelati con
l’aggiunta d’un morto in più, anche sulla sponda americana. Lo conferma pure un
dispaccio della Nato.
Ciò che non viene citata è l’estrema insicurezza su
cui si basa l’accordo sulla sicurezza sottoscritto dal governo Ghani, che ormai
palesemente costituisce solo un pretesto per la conservazione in loco d’un
certo numero di militari americani. Impegnati nel lavoro strategico nelle basi
aeree più che nella preparazione di truppe ampiamente infiltrate di elementi
insorgenti. Un disegno evidente con cui si sostiene di restare ad addestrare e
organizzare l’esercito afghano per renderlo autonomo e fargli almeno
controllare le frontiere interne, ma di fatto non si fa nulla per la sua
efficacia e reale affidabilità per ogni genere di sicurezza, dalla propria
incolumità a quella di Istituzioni e popolazione. Continua a proliferare il
combattentismo privato (i gruppi paramilitari di vecchi e nuovi Signori della
guerra) e ulteriori contractors, come i citati Marg (cfr. http://enricocampofreda.blogspot.it/2015/03/i-signori-della-morte.html).
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